Giovedì 21 Novembre 2024
ALESSANDRO FARRUGGIA
Esteri

Un esercito comune: troppi sistemi diversi e pochi tank moderni. La lentezza della Ue

Sulla carta gli Stati Uniti d’Europa hanno molti soldati ma armi insufficienti. Entro il 2030 dovrebbero acquistare assieme il 40% delle attrezzature

Roma, 20 marzo 2024 – Finché c’è la Nato, con l’articolo 5 che impegna alla tutela di ogni Paese da ogni aggressione esterna, l’Europa è al sicuro. Lo è stata per 55 anni. Ma se sotto un’eventuale presidenza Trump l’America si chiamasse fuori? Il Vecchio continente vedrebbe crollare il potenziale di deterrenza nucleare – la force de frappe francese è inadeguata e i britannici sono fuori dall’Unione europea – al pari di quella convenzionale. E poi sarebbe tutto da vedere se gli europei, come pure prevede l’articolo 42 del trattato di Lisbona, sarebbero davvero pronti a morire per Vilnius o Riga o Helsinki, creando così le premesse per ulteriori attacchi dello Zar e per una sottomissione di fatto alle mire russe: una finlandizzazione dell’Europa.

Charles Michel, presidente del Consiglio europeo
Charles Michel, presidente del Consiglio europeo

Russia, ok alla produzione in massa delle terribili bombe Fab-3000. Tre tonnellate di esplosivo per scardinare le difese ucraine

Sulla carta gli eventuali Stati Uniti d’Europa avrebbero oggi circa 1,4 milioni di soldati. Più della Russia e quanto gli Stati Uniti. Secondi solo alla Cina, con i suoi 2 milioni e 200mila soldati. E anche i numeri di aerei e marine militari non sono male: saremmo secondi solo agli Stati Uniti. Ma il problema, serio, è l’integrazione. Sarebbe un gigante con poche armi pesanti – poco più di 2.600 carri armati moderni – e comunque con armamenti estremamente diversi, linee di comando e comunicazione distinte, poca abitudine – nonostante il lavoro di integrazione svolto dalla Nato – a combattere assieme, specie se l’Alleanza si dissolvesse.

Un esercito Ue conterebbe 178 sistemi d’arma diversi, rispetto ai 30 degli Stati Uniti. Venti tipologie di aerei militari da difesa aerea e d’attacco contro i 6 Usa. E molti sono d’importazione. Non è una forza armata, è un collage. È così che Bruxelles ha compreso che era l’ora di cambiare passo. Di avere una strategia per riarmarsi, investendo di più e soprattutto meglio.

Come ha detto il commissario per il Mercato interno, Thierry Breton, la strategia segna l’ingresso dell’Ue in una "modalità di economia di guerra". Nella stessa direzione si è espresso il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel: "Dobbiamo passare a una modalità da economia di guerra. Perché se l’Ue non è in grado di fornire una risposta adeguata, prima o poi sarà il nostro turno". Uno choc, ma inevitabile. La brutale guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina – ha detto l’Alto rappresentante per la politica estera e di difesa europea, Josep Borrell – "ha riportato in Europa una guerra ad alta intensità. Dopo decenni di investimenti inadeguati, dobbiamo investire di più nella difesa, farlo meglio e insieme".

A questo servirà la Strategia industriale di difesa europea, predisposta dalla Commissione, che delinea un piano decennale per garantire la disponibilità e il rifornimento tempestivo di armi, in grado di tutelare l’Unione e i suoi partner dalle minacce esterne. Spendendo meglio e comunque fissando l’asticella ad almeno il 2% del Pil, cosa che per molti Paesi, Italia compresa, è un obiettivo molto ambizioso e sistematicamente rinviato.

Per raggiungere gli obiettivi posti dalla strategia Ue, gli Stati membri dovranno acquistare assieme almeno il 40% delle attrezzature per la difesa entro il 2030, rendere per allora gli acquisti interni pari al 35% del valore dell’intero mercato della difesa dell’Unione, e spendere almeno il 50% dell’intero budget per la difesa all’interno dell’Unione entro il 2030 e almeno il 60% entro il 2035. La strategia prevede di mobilitare 1,5 miliardi di euro del bilancio europeo tra il 2025 e il 2027. È uno sforzo erculeo, per le lentezze e la strutturale complicazione del processo politico comunitario. A parole siamo pronti a farlo, ma tra il dire e il fare ci sono di mezzo anche le elezioni europee di giugno il cui esito condizionerà il riarmo. Se sarà vero, o di facciata, lo decideranno (anche) gli elettori.