Mentre oggi, nel suo sesto viaggio in Medio Oriente dal 7 ottobre, il segretario di Stato americano Antony Blinken si fermerà in Israele e incontrerà Benjamin Netanyahu e i ministri del gabinetto di guerra, arriva il monito dell’Europa a Tel Aviv: "Il Consiglio europeo – è la conclusione approvata dai leader ai margini del vertice di ieri a Bruxelles – sollecita il governo israeliano a non intraprendere un’operazione di terra a Rafah". Una simile operazione, si legge nel testo, "peggiorerebbe la già catastrofica situazione umanitaria non permetterebbe la fornitura urgente di servizi di base e di assistenza umanitaria". La presa di posizione arriva tra l’altro a conclusione di una giornata durante la quale già si erano espressi per "un cessate il fuoco duraturo" il capo della diplomazia Ue Josep Borrell e il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Borrell aveva anche rimarcato "il driitto di Israele a difendersi, ma non di vendicarsi".
Intanto i negoziati per trovare una tregua con Hamas vanno avanti. Netanyahu ha inviato di nuovo a Doha David Barnea, capo del Mossad, il controspionaggio israeliano per l’estero. Nella capitale del Qatar l’ufficiale vedrà il numero uno della Cia, William Burns, il capo del governo dell’emirato, Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim al Thani, e il ministro egiziano dell’intelligence, Abbas Kamal. Nell’annunciare mercoledì la tappa nello Stato ebraico il portavoce di Blinken, Matthew Miller, ha detto che il responsabile della diplomazia statunitense discuterà della necessità di assicurare la sconfitta di Hamas anche a Rafah, la città al confine con l’Egitto nella quale è fuggito oltre un milione di palestinesi da varie località della Striscia di Gaza.
L’accordo tra Israele e Hamas sul cessate il fuoco a Gaza è "ancora difficile", ma "il divario" tra le parti si sta "riducendo", ha sintetizzato Blinken, per il quale l’occupazione di Rafah "non è necessaria". Quanto ad Hamas, per il segretario di Stato Usa, "se si cura di tutte le persone che pretende di rappresentare, allora dovrebbe raggiungere un’intesa, perché questa avrebbe l’effetto di un cessate il fuoco che allevierebbe la sofferenza della gente e aumenterebbe l’assistenza umanitaria, dandoci anche la possibilità di ottenere qualcosa di più duraturo". Dal punto di vista strategico gli Usa, anche se hanno manifestato la loro ferma contrarietà a una grande offensiva di terra a Rafah, hanno spinto per un’operazione più limitata nella città e in altre zone della Striscia contro i capi militari di Hamas.
Intanto sul presidente Usa, Joe Biden, cresce anche la pressione interna, affinché sia più ’duro’ con Tel Aviv. Non solo dall’ala sinistra dei democratici. Quasi 70 ex dirigenti, diplomatici e ufficiali delle forze armate hanno sottoscritto una lettera aperta, esortandolo a mettere in guardia Israele sulle gravi conseguenze che rischia se nega i diritti civili e i beni di prima necessità ai palestinesi ed espande l’attività di insediamento nella Cisgiordania. "Gli Usa devono essere disposti a intraprendere azioni concrete per opporsi" a tali pratiche, "comprese le restrizioni sulla fornitura di assistenza (Usa a Israele, ndr) in linea con la legge e la politica statunitense", affermano i firmatari. Il tutto mente cresce l’angoscia per il destino degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas. Cento ancora vivi.