Roma, 16 marzo 2024 – Andrei Koleshnikov è stato caporedattore nella Novaya Gazeta e vicedirettore della Izvestia e poi senior fellow a Carnegie Mosca e all’Ispi di Milano. È un intellettuale e quando Putin ha deciso di chiudere Carnegie Mosca lui ha scelto di restare in Russia, beccandosi la qualifica di "agente straniero" che è praticamente l’etichetta di dissidente e ogni giorno può significare l’arresto. Ma Koleshnikov è un uomo di principi, prudente ma coraggioso.
"Almeno il 20% della popolazione – dice – sostiene attivamente Putin, quasi altrettanti vorrebbero la democrazia e poi c’è la maggioranza, un 60%, che io chiamo ‘la palude’, una cosa tipica di questo Paese anche prima di Putin, gente che preferisce nascondere la testa sotto la sabbia e provare a vivere normalmente facendo compromessi morali. Nel 2023 questa “palude“ ha disperatamente cercato la normalità, ma ora manda segnali di disagio".
"Sempre più gente – continua – vuole la pace, emerge una ‘fatica di guerra’. Anche per questo Putin ha voluto queste elezioni che per il resto del mondo sono una farsa. Per mostrare ai russi, in primis alla ‘palude’, che il suo popolo è ancora obbediente, indifferente e prono al potere. E per far capire alle minoranze che sono ancora e sempre minoranze".
"In Russia – spiega – c’è una resistenza morale, una resistenza morale più che politica, perché gli oppositori non hanno più organizzazioni di riferimento, che sono state totalmente eliminate dal regime e non hanno neanche leader, i quali o sono morti o sono in prigione o in esilio. Ma il malumore, seppur minoritario, avanza". "Le lunghe file al gelo russo per la raccolta delle firme per la candidatura di Boris Nadezhdin per la corsa alla presidenza – prosegue – sono diventate un barometro per la domanda di una alternativa democratica. Nadezhdin era una minaccia perché poteva ottenere il 5-6%, forse il 10%, e infatti l’hanno escluso. Ma è stato un segnale, come le persone che sono andate al funerale di Navalny o hanno deposto fiori sulla sua tomba. Sono stati eroici perché sapevano che a questi eventi c’erano telecamere con software di riconoscimento facciale e che nei giorni successivi la polizia sarebbe andata nei loro appartamenti, mettendo le loro vite a rischio. La repressione funziona, ma la fatica cresce: la Russia non è senza speranza".
E ci sono dei nuclei attorno ai quali si può aggregare il dissenso. "Guarderei con attenzione – dice – ai piccoli ma molto convinti gruppi di familiari dei coscritti, che da mesi hanno iniziato a protestare. Prima contro la coscrizione obbligatoria ma ora sempre più voci di questa comunità sono passate a protestare contro l’idea dell’operazione speciale, hanno iniziato a dire ‘fermiamo la guerra’. E questo è un problema per il Cremlino, che ancora non sa come comportarsi con loro e teme che la protesta si allarghi".
"Per innescare un cambiamento in Russia – sottolinea – serve una crisi di risorse, che può essere economica ma anche psicologica ed emozionale. Questo piccolo numero di familiari di “mobik“ (colloquiale per mobilitati) può essere un nucleo aggregatore e questo dissenso, se si ampliasse, potrebbe essere un incentivo, e volutamente non voglio essere specifico, a ‘cambi nelle struttura di potere’. Io non credo nel caos dopo Putin, credo che ci sarà, quando verrà il tempo, una soluzione ordinata. Non sarà oggi né magari il prossimo anno, ma Putin non è in una posizione comoda. E quando verrà il tempo, i russi democratici ci saranno".