Roma, 20 agosto 2024 – L’Ucraina è da 13 giorni all’offensiva nel Kursk dove rinforza le proprie posizioni e punta a controllare l’intera area a sud del fiume Seym. Dal loro canto i russi proseguono la lenta, costosa ma per ora inarrestabile avanzata nel Lugansk, dove hanno preso un altro villaggio – Zalisne, vicino a Toresk – a 51 chilometri in linea d’aria da Pokrovsk, ma un’altra colonna è Zavitne che dista appena 22 chilometri in linea d’aria dal centro città. Per questo il governatore ucraino della regione ha ordinato l’evacuazione obbligatoria delle famiglie con bambini dando loro "una o due settimane di tempo". È una immagine speculare a quello che vediamo nel Kursk, in Russia, dove gli evacuati sono 121mila. Su questo doppio fronte abbiamo sentito il generale Luigi Chiapperini, storico ex comandante del reggimento Lagunari e poi della brigata bersaglieri Garibaldi.
Generale Chiapperini, quale è il senso dell’operazione ucraina nel Kursk?
"Kiev aveva bisogno di dare in qualche modo una svolta al conflitto perché i russi stavano continuando a premere verso Prokovsk, avanzando, seppur lentamente, allo scopo di conquistare l’intero oblast di Donetsk. In tale quadro gli ucraini, che nel frattempo hanno costituito nuove forze di manovra anche grazie agli aiuti occidentali, avevano due opzioni: rinforzare il fronte a sud per tentare di fermare definitivamente i russi o coglierli di sorpresa. La prima opzione non soddisfaceva però l’obiettivo strategico ucraino che rimane quello di liberare gli oblast occupati dai russi".
E così sorpresa è stata.
"Assolutamente. Hanno attaccato la Federazione Russa invadendola in un’area scarsamente difesa, ed ottenendo alcuni risultati, il primo dei quali di natura geopolitica: dare un duro colpo alla credibilità e al prestigio del governo russo. Kiev ha poi dimostrato agli occidentali che se ben armata grazie agli aiuti, è in grado di ottenere risultati tangibili. Ora gli ucraini puntano ad acquisire dei territori russi per scambiarli in futuri negoziati. Non sono risultati da poco, se le conquiste territoriali sinora ottenute saranno consolidate".
Perché i russi non spostano più forze verso il Kursk?
"Credo per due motivi. Il principale è che non hanno disponibilità di forze addestrate sufficienti in quanto sono al momento quasi tutte impegnate a sud nel Donetsk. Trasferire poi fanteria e artiglieria per linee esterne lungo centinaia di chilometri non è affatto semplice. Pertanto sembra che la Federazione Russa consideri prioritario continuare per inerzia a spingere offensivamente a sud nell’oblast di Donetsk per poi risolvere in qualche maniera la crisi creatasi a Kursk".
Come evolverà la situazione?
"A meno di un crollo completo dell’organizzazione difensiva russa che credo però almeno al momento sia improbabile, gli ucraini inizieranno a trincerarsi, per proteggere man mano il suolo conquistato. Anche perché procedere troppo in profondità significherebbe amplificare il già assai complesso sostegno logistico".
Su che linee si attesteranno?
"Ritengo che l’allineamento finale possa essere lungo il fiume Seym nel distretto di Glushkov e la linea sul suo prolungamento naturale nell’oblast di Kursk. Ce lo suggerisce la distruzione operata dagli ucraini dei ponti su quel fiume che isolano logisticamente la tasca occidentale della regione di Kursk. I russi potrebbero quindi ulteriormente perdere circa 900 km quadrati oltre ai 1.200 già controllati dall’Ucraina. Quella potrebbe essere l’area da difendere per l’Ucraina. Non molto estesa ma sufficiente per far valere le proprie ragioni in futuri negoziati".
Possono tenere il territorio preso o rischiano di pagare pegno in Donbass perché la coperta è corta?
"Gli ucraini proveranno a tenere ad ogni costo il territorio conquistato in Russia almeno fino alle elezioni negli Stati Uniti quando l’eventuale avvicendamento del presidente potrebbe portare all’eventuale imposizione dell’avvio di negoziati basati sullo status quo. In quel caso diventa vitale avere nelle proprie mani la carta delle terre russe occupate. Certo, gli ucraini potrebbero pagare pegno in Donbass, ma non avevano altra scelta. L’arte della guerra impone spesso opzioni rischiose".