QUEL CHE accade in Francia, dove un personaggio pubblico di grande rilievo come Dominique Strauss-Kahn, accusato di un giro di feste legato alla prostituzione, davanti all’accusa di immoralità rivendica il diritto di difendersi, in quanto «libertino» convinto, da vero francese, è arduo da capire in Italia. Premesso di aver sempre ignorato che le belle donne invitate a quelle feste fossero pagate, Strauss-Kahn fa capire che chi lo trascina in tribunale in nome della morale pubblica, tradisce la cultura laica e libertaria del Paese, dove l’Illuminismo ha da trecento anni separato la morale privata da quella pubblica. Nell’ambito della vita privata, il francese è libero di cercare il piacere nelle forme che più gli siano congeniali. Né lo Stato né la Chiesa possono controllare quel che avviene nelle camere da letto. Questo è il fulcro del libertinismo, che poi altro non è che una individuale applicazione del principio generale della Libertà, uno dei tre pilastri della Rivoluzione francese. Applicazione che fa la differenza, non solo della Francia, dall’integralismo di Isis. L’EDONISMO gode in Occidente di un certo retaggio da quando uomini che ebbero il coraggio di sfidare l’assolutismo del trono alleato all’altare, come Voltaire, Diderot, Rousseau, hanno distinto i doveri del cittadino di fronte alla legge, da quelli dell’individuo. È il divino marchese De Sade il luciferino ribelle, il moderno Prometeo che si leva contro ogni morale che non sia quella del piacere.
SULLA sua via arriveranno poi i poeti maledetti, da Baudelaire a Rimbaud, e il padre di ‘Madame Bovary’, Flaubert. Noi italiani eravamo arrivati nel Rinascimento, a toccare la stessa libertà in nome del principio naturalistico «s’ei piace ei lice», subito travolti dalla cappa moralistica della Controriforma. Per capire quanto suoni ostico da noi questo, che fu il credo di Pierre de Laclos ne «Le relazioni pericolose», può servire un’ immagine di un genio del cinema italiano, Federico Fellini, ne «La dolce vita». Quando Marcello e Sylvia salgono sulla cupola di San Pietro, un immenso cappello nero da prete, vola sulla città eterna distesa davanti a loro, e la ricopre tutta. Qui il cinema batte la potenza evocativa della parola, con una sola immagine. Tutta l’Italia vive sotto quel cappello da prete, vuol dirci Fellini, non c’è ambito che si emancipi dal Vaticano.
DOBBIAMO a questa invadenza in tanti aspetti della vita pubblica i ritardi rispetto all’Europa in molte leggi che il parlamento teme di varare, solo per tema di urtare la Chiesa. A parte la questione sempre sospesa del testamento biologico, fatta esplodere da Beppino Englaro, non mancano esempi anche più freschi. Per farne solo uno, abbiamo ascoltato di recente il pronunciamento della Cassazione che non ritiene sia discriminazione non ammettere i matrimoni gay, ma invita a riempire il vuoto legislativo per adempiere il diritto dell’articolo 2 della Costituzione a una piena vita di coppia «riconducendo tali relazioni nell’alveo delle relazioni sociali dirette allo sviluppo, in forma primaria, della personalità umana». È INDUBBIO che Strauss-Khan abbia dalla sua una lunga tradizione libertaria, che in Francia comincia fin dal Re Sole, con le sue libertà gallicane che volevano strappare alla Chiesa il controllo sul clero nazionale. Ma, nell’immaginario collettivo, la sua figura pare quasi innalzarsi oggi a vindice di una coraggiosa rivolta contro l’ipocrisia dei benpensanti, che trova nel popolare mito di Don Giovanni una naturale icona.