Venerdì 20 Dicembre 2024
REDAZIONE ESTERI

Dopo la strage dei cercapersone. In Libano esplodono anche walkie-talkie e pannelli solari. Hezbollah minaccia Israele

Sabotato per il secondo giorno consecutivo il sistema di comunicazione dei miliziani: 20 morti e 450 feriti. Oggi il discorso del leader. Tel Aviv sposta le truppe al confine nord, Gallant: "Nuova fase del conflitto".

Beirut, quel che resta di un walkie-talkie esploso nel secondo giorno di attacco contro i miliziani di Hezbollah

Beirut, quel che resta di un walkie-talkie esploso nel secondo giorno di attacco contro i miliziani di Hezbollah

di Aldo Baquis

TEL AVIV

Per il secondo giorno consecutivo l’intero sistema di comunicazioni dei miliziani Hezbollah è stato sabotato e paralizzato ieri da una serie di esplosioni avvenute in diverse località del Libano che hanno provocato almeno 20 morti e 450 feriti. Nel primo attacco (attribuito martedì dagli Hezbollah ad Israele) che aveva preso di mira simultaneamente migliaia di apparecchi cercapersone si erano avuti 12 morti e circa 3.000 feriti. Ieri invece è stata la volta di apparecchi walkie talkie che, alle ore 17 locali, hanno cominciato ad esplodere simultaneamente in appartamenti, in automobili, nelle strade e nelle basi degli Hezbollah. Ma non solo: sono esplosi, per ragioni ancora non accertate, anche pannelli solari ed apparecchi per la rilevazione di impronte digitali. In un comunicato ai miliziani i vertici degli Hezbollah hanno fatto appello a gettare tutti gli apparecchi sospetti. Oggi il leader dell’organizzazione, lo sceicco Hassan Nasrallah, parlerà alla nazione. I media a lui vicini ribadiscono che gli Hezbollah non ricercano una guerra totale contro Israele. Ma avvertono che lo Stato ebraico pagherà un duro prezzo per gli attacchi condotti sul suolo libanese.

Il timore è comunque che un conflitto di larga scala sia ormai prossimo. Ieri l’esercito israeliano ha spostato la divisione 98 – che da mesi era impegnata nella Striscia di Gaza – verso il confine con il Libano. Le prospettive di una tregua nella Striscia e della liberazione dei 101 ostaggi si sono ancora più ridotte. Il ministro della difesa Yoav Gallant ha dichiarato: "Il nostro impegno principale si sposta adesso a Nord. Siamo all’inizio di una nuova fase della guerra". Il comandante della regione militare nord, il generale Ori Gordin, da tempo insiste per un ingresso di forze di terra nel Libano meridionale per sospingere i miliziani Hezbollah alcuni chilometri più a nord. L’obiettivo: creare una zona cuscinetto a protezione delle città israeliane di confine, da mesi sottoposte a costanti bombardamenti degli Hezbollah. "È nostro dovere consentire agli abitanti di tornare alle loro case" ha affermato il premier Benjamin Netanyahu.

Ma se davvero Israele progetta un ingresso terrestre in Libano, deve fare i conti con gli Stati Uniti che da giorni cercano di fare opera di dissuasione. Ieri il segretario di Stato Antony Blinken è tornato a fare appello "affinché nessuno provochi una escalation nella regione". E l’Assemblea generale dell’Onu ha approvato una risoluzione per l’embargo di armi nei confronti di Israele.

Israele mantiene un silenzio totale sull’origine degli attacchi al sistema di comunicazione degli Hezbollah. La rete tv al-Mayadeen, vicina agli Hezbollah, ha riferito che l’esplosivo celato nei cercapersone "non era rintracciabile in alcun modo". Ad innescare le esplosioni, ha aggiunto, non sono state le batterie al litio, ma un messaggio inoltrato agli apparecchi che "ha risvegliato l’esplosivo". I detentori dei cercapersone hanno ricevuto un messaggio che sembrava genuino, ma 4 secondi dopo si è verificata la esplosione. Ancora non è chiaro chi abbia prodotto quegli apparecchi, consegnati agli Hezbollah cinque mesi fa. La compagnia di Taiwan menzionata in un primo tempo ha escluso di essere responsabile e ha addossato la responsabilità ad una società ungherese, poi risultata fittizia. Nel frattempo ordigni più consistenti sono esplosi anche negli apparecchi walkie talkie distribuiti anch’essi ai miliziani cinque mesi fa.

Fra tanti dubbi, la questione principale riguarda la scelta del momento scelto da Israele – se effettivamente l’operazione va attribuita al Mossad e all’intelligence militare – per scatenare una offensiva che rischia di innescare una guerra di larga scala. Una delle ipotesi rilanciate sui media locali è che Israele abbia lavorato per mesi (o forse per anni) alla manipolazione degli strumenti degli Hezbollah e che negli ultimi giorni abbia avuto il timore che gli esplosivi stessero per essere scoperti. In apparenza in origine quelle capacità erano state raffinate per sconvolgere un eventuale attacco missilistico generale degli Hezbollah contro le retrovie di Israele. "Ma si tratta di operazioni ‘Use it, or leave it’" ha sostenuto una esperta del ramo. E dunque, almeno secondo questa interpretazione, Israele avrebbe preferito utilizzarle anzitempo, piuttosto che perderle per sempre.