Lunedì 23 Dicembre 2024
REDAZIONE ESTERI

Donatore seriale di seme "ha 550 figli: fermatelo". Perché il limite è a 25

L'olandese Jonathan M. è stato citato in tribunale da una fondazione. Avrebbe generato bambini anche in Italia. L'avvocato: quali sono i rischi

Banca del seme e donatori seriali: perché serve un limite

Roma, 27 marzo 2023 - La storia del "donatore seriale di sperma" approda in tribunale. L’accusa: J. M., 41 anni, olandese, avrebbe ‘generato’ centinaia di figli in tutto il mondo, Italia compresa. Violando gli accordi con le cliniche e i limiti fissati, soprattutto per evitare incesti. 

La storia del donatore seriale di sperma

La Donorkind foundation - che ha promosso l’azione legale con una madre - calcola che l’uomo sia ‘padre’ di almeno 550 bambini. "Il donatore ha consegnato il suo seme ad almeno 13 cliniche nei Paesi Bassi e all’estero", scrive la fondazione sul suo sito.

L’uomo avrebbe contatti in tutto il mondo, e sfrutterebbe ad esempio piattaforme di incontro e social media. "Mente sul numero di figli che ha generato, è l’accusa della fondazione. Che ricorda le regole fissate dalle cliniche nelle linee guida: 25 bambini o 12 famiglie "per prevenire consanguineità, incesti e problemi psicologici" ai nascituri. L’obiettivo è quello di fermarlo. Impedendogli nuove donazioni di sperma, pena sanzioni. 

"Se avessi saputo non lo avrei mai scelto"

Ma la vicenda più che giudiziaria è umana. E riguarda la vita di tante persone. Un dramma, ha confidato una mamma che si era rivolta a una banca del seme, aver scoperto la verità. "Se avessi saputo che aveva già avuto più di 100 figli non lo avrei mai scelto", ha confessato una madre che si era rivolta al donatore seriale nel 2018. Quella, allora, era la sua 'media', come aveva denunciato nel 2017 la Società olandese di ostetricia e ginecologia.

Le parole del donatore seriale

"Sono deluso dall'ossessione per i numeri. Sono diventato donatore perché amo aiutare i genitori a realizzare i loro sogni", aveva obiettato via mail l'uomo alla giornalista del New York Times che lo aveva contattato per raccontare la sua storia. Però Mark de Hek, avvocato di Donorkind, ha tutt'altra idea. "Questo comportamento è pericoloso per il benessere mentale e la salute dei bambini".