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La sede a L’Aja, nei Paesi Bassi, della Corte penale internazionale
Roma, 8 febbraio 2025 – La Corte penale internazionale non è stata la prima e non sarà l’ultima istituzione globale ad essere picconata da Donald Trump. Il presidente degli Stati Uniti va alla caccia grossa, “mira alle stesse Nazioni Unite, che in queste ore sono insorte contro la sua decisione di comminare sanzioni individuali contro i funzionari del Tribunale penale dell’Aja”. Se questa strategia si tradurrà in un’uscita degli Usa anche dall’Onu, sulla falsariga di quanto già deciso a proposito dell’Organizzazione mondiale della sanità e del Consiglio per i diritti umani, “è ancora presto per dirlo – spiega Edoardo Greppi, docente di Diritto internazionale umanitario all’Università di Torino –. Tuttavia un aspetto è chiaro: Trump sta facendo di tutto per delegittimare le organizzazioni internazionali e il multilateralismo”.
Un film in due tempi, ricordando anche la prima presidenza del tycoon?
“Sì, con quattro anni d’intervallo, Trump riprende la sua opera di destabilizzazione dell’ordine internazionale”.
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Se in passato gli Usa agivano de facto anche fuori dai canoni del diritto e delle istituzioni internazionali, oggi la Casa Bianca vuole formalizzare questo approccio?
“Alla base c’è una montante insofferenza per le regole. E pensare che la cooperazione internazionale, finalizzata alla punizione tra l’altro dei genocidi, dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità, di competenza proprio della Cpi, nacque 80 anni fa in occasione di Norimberga proprio su spinta degli Stati Uniti”.
Era facile prevedere l’accusa di antisemitismo, mossa da Israele, all’indirizzo della Cpi dopo la sortita di Trump?
“Non mi stupisce dato i rapporti fra il presidente Usa e il premier israeliano. Resta il fatto che la Corte è tutto tranne che antisemita. Il mandato d’arresto spiccato lo scorso anno contro Netanyahu e l’ex ministro della Difesa, Yoav Gallant, riguarda crimini di guerra e contro l’umanità. L’Aja raccoglie le prove, indaga in maniera seria, non agisce in virtù di un qualche fumus persecutionis”.
Anche il caso Putin lo dimostra?
“Certo, si poteva pensare a un ordine di arresto contro di lui già nel 2022, dopo la scoperta degli orrori commessi a Bucha, e invece il mandato è stato emesso l’anno dopo solo in relazione alla vicenda della deportazione dei bimbi ucraini. Su quel caso è probabile che la Corte abbia riscontrato la sussistenza di prove che ricondurrebero le responsabilità per quei fatti al vertice della catena di comando moscovita”.
Le sanzioni comminate da Trump depotenziano quell’ordine di arresto per lo zar?
“Di sicuro e deve fare riflettere il fatto che il primo a reagire in questo modo contro la Cpi fu proprio Putin. Solo che, se le sazioni individuali le impone un dittatore, fa meno impressione, ma, se a prescriverle è il leader del mondo libero, allora vengono i brividi”.
Anche l’esecutivo italiano, impegnato in un braccio di ferro con la Cpi sul caso Almasri, non si sta stracciando le vesti per la minaccia di sanzioni...
“Da parte nostra non c’è solo una responsabilità giuridica e morale nella vicenda libica. Roma ha violato il trattato istitutivo della Corte, lo Statuto di Roma. A livello simbolico ha un peso non di poco conto”.
Quale futuro vede per la Cpi dopo gli affondi di Usa e Israele, entrambi neanche firmatari del Trattato?
“Il rischio è che salti tutto, che non ci sia più una giustizia internazionale sui crimina iuris gentium, ma solo la vendetta di uno Stato contro un altro Stato”.