Martedì 25 Marzo 2025
ANTONIO DEL PRETE
Esteri

La democrazia non si esporta più. Neanche a parole

Trump traccia la linea geopolitica, l’Europa è divisa e Israele gioca una guerra che nessuno vuole più

Il presidente Usa, Donald Trump, e il sui Gabinetto alla Casa Bianca

Il presidente Usa, Donald Trump, e il sui Gabinetto alla Casa Bianca

“L’ipocrisia è l’omaggio che il vizio rende alla virtù”, scriveva François de La Rochefoucauld. Galateo della vita privata, dogma della diplomazia e della politica. Paradigma arci-europeo di cui Donald Trump, americano di origine tedesca, ignora l’esistenza.

Il tycoon pratica il linguaggio degli affari, applica al suo discorso pubblico la logica dei rapporti di forza. Così, dalla poltrona più nobile della superpotenza mondiale, gli viene facile annettere verbalmente la preziosa Groenlandia, il canale di Panama o la pacchianissima Riviera Gaza delle sue brame.

Tratta con disprezzo i docili e divisi partner europei, mentre asseconda le ambizioni espansionistiche dell’autocrate Putin. Maneggia il concetto di pace come il grimaldello per una narrazione che sostituisce i diritti con gli interessi. Ed espunge dal vocabolario dell’Occidente la democrazia. Che in tempo di dazi, non si esporta più come ai tempi di Saddam Hussein; né si difende come nei primi due anni e mezzo di resistenza ucraina. Fosse stata eletta, probabilmente Kamala Harris avrebbe tracciato una rotta analoga, seppure in un modo del tutto diverso.

La strategia di una nazione prescinde dalle opposte propagande. Dopotutto Trump non ha cambiato i connotati dell’impero americano. Tuttavia, è riuscito in sessanta giorni a demolire ottant’anni di soft power, un principio attivo somministrato agli europei attraverso infinite meraviglie, dalle barrette di cioccolato del Piano Marshall ai buoni sentimenti delle pellicole hollywoodiane.

Stupiscono meno le torsioni autoritarie di due avamposti dell’Occidente nel Medio Oriente. La Turchia, pilastro della Nato, ospita il principale esponente dell’opposizione in un carcere di massima sicurezza. E in Israele il premier Benjamin Netanyahu fugge dai processi rifugiandosi in una guerra che non vuole quasi più nessuno. Minoranze, pesi e contrappesi, consenso: i pilastri della democrazia vengono travolti senza neppure il fastidio di una giustificazione, per quanto fasulla e ipocrita. È il tempo del trumpismo, che preferisce l’idea di libertà anche quando sconfina nel vizio. O, peggio, nell’arbitrio.