Roma, 27 novembre 2024 – Temuta, prevista, annunciata. Prim’ancora di varcare la soglia della Casa Bianca – mancano quasi due mesi all’insediamento – Donald Trump ha già aperto la guerra dei dazi. E lo ha fatto dando fuoco alla miccia del suo social, Truth, dal quale ha sparato le prime bordate. Nel mirino, per cominciare, ci sono la Cina, il Messico e il Canada. Al Dragone promette un’ulteriore tariffa del 10% su tutti i prodotti esportati negli Stati Uniti, ai due Paesi confinanti a nord e a sud preannuncia una tassa del 25%. La motivazione, sorprendentemente, è il traffico di droga verso gli Usa, Fentanyl in testa.
Parla di “enormi quantità di droga, in particolare Fentanyl, spedite negli Stati Uniti”, Trump, insiste che ne ha parlato con i vertici cinesi, “ma senza alcun risultato”. Questi gli hanno detto che “avrebbero stabilito la loro pena massima, quella della morte” per fermare il traffico, “ma, sfortunatamente, non hanno dato mai dato seguito alla cosa”. A detta del tycoon, la droga starebbe affluendo negli Usa principalmente attraverso il Messico, “a livelli mai visti prima”. Non solo: “In questo momento una carovana proveniente, composta da migliaia di persone, sta cercando di attraversare il nostro confine aperto. Il 20 gennaio, come uno dei primi ordini esecutivi, firmerò tutti i documenti necessari per imporre una tariffa del 25% su tutti i prodotti in arrivo negli Stati Uniti attraverso le ridicole frontiere aperte”.
Le risposte non si sono fatte attendere. Più polemico il Messico, più gelida la Cina. “Nessuno vincerà una guerra commerciale o una guerra tariffaria”, afferma in una nota l’ambasciata cinese a Washington. Da parte sua, la presidente del Messico Claudia Sheinbaum ha letto davanti ai media una lettera subito dopo inviata a Trump: “Non è con le minacce né con i dazi che riuscirete a fermare il fenomeno dell’immigrazione, né il consumo di droghe negli Stati Uniti”. Argomentazione ripresa con sarcasmo anche dal presidente del Senato messicano, Gerardo Fernández Norona: “Quali tariffe dovremmo imporre noi sulle loro merci finché non smetteranno di consumare droga e di esportare illegalmente armi nel nostro Paese?”.
Il premier canadese si è invece attaccato al telefono: una serie di chiamate notturne con il presidente eletto Trump e con i leader delle province. Justin Trudeau si è sentito di dover dare rassicurazioni al Parlamento: “È stata una buona conversazione”.
Sarà, ma gli economisti di mezzo mondo già da tempo si fanno due conti pensando alle conseguenze della “sfida dei dazi” trumpiana. Per quanto riguarda l’Ue, è convinzione diffusa che le tariffe americane avrebbero l’effetto di una mazzata sulla crescita europea. Ma ci sarebbe un impatto diretto anche sui consumatori americani: stando ad uno studio della multinazionale Ing, i cittadini statunitensi potrebbero dover pagare 2400 dollari a testa all’anno per le merci in arrivo da Messico, Canada e Cina. Non solo: gli studiosi mettono in conto un aumento dell’1% dell’inflazione negli Usa, anche considerando le potenziali carenze di manodopera dovute alla “più grande deportazione della storia americana”, quella dei migranti, minacciata dal tycoon.
Intanto, il primo impatto della sortita trumpiana sui dazi si è sentito sulle Borse europee: tutte in calo, Milano compresa, specie i titoli delle quattro ruote. Come se tutti avessero tirato il freno d’emergenza.