Giovedì 19 Dicembre 2024
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Esteri

Il ministro Crosetto: "Il 2% del Pil alle spese militari? Solo se l’Ue cambierà le regole. Aiutare l’Ucraina in tutti i modi"

Il responsabile della Difesa: se smettessimo di inviare armi, l’esercito russo arriverebbe a Kiev. "Per unire le Forze armate europee serve tempo. Ora va consolidata la sicurezza nel Mediterraneo"

Roma, 12 maggio 2024 – Ministro Guido Crosetto, da responsabile della Difesa pensa che l’Italia riesca a raggiungere in tempi brevi la soglia del 2% del Pil destinato agli assetti militari come richiesto dalla Nato?

"Non credo, almeno non finché l’Europa non cambia le regole. Fino a che le spese per raggiungere il 2% del Pil saranno in concorrenza con la spesa sanitaria, sociale, culturale e quindi ogni aumento andrà a detrimento di altre voci del bilancio generale sarà impossibile. Le spese per la Difesa vanno escluse dal patto di stabilità. L’art 3 della Nato prevede che ogni Stato membro dell’Alleanza sia obbligato a costruire la propria difesa e dovremmo ricordarlo".

Soccorritori a Kharkiv dopo un attacco russo
Soccorritori a Kharkiv dopo un attacco russo

Cosa bisogna fare per rinforzare il fianco sud della Nato? La presenza di sottomarini russi è frequente.

"Va consolidata innanzitutto la sicurezza del Mediterraneo dove la nostra Marina è già in attività. Daremo più attenzione a questo aspetto con investimenti soprattutto per la parte sottomarina. Da lì ci arrivano l’energia e l’informazione, se solo pensiamo ai cavi della parte internet. A La Spezia il polo per la subacquea diventerà un centro di ricerca su questo fronte in collaborazione fra Difesa, industria e università per individuare le tecnologie fondamentali per il futuro".

Poi c’è il problema del Mar rosso con la minaccia Houthi.

"Dobbiamo ripensare le regole per garantire la sicurezza economica che oggi, con un traffico diminuito del 50% nel canale di Suez, registra un forte danno per l’aumento dei costi. Dobbiamo adeguare le leggi alle minacce che abbiamo di fronte. È, tra gli altri, un tema che porrò in Parlamento".

Fianco est dell’Europa, l’impegno Nato diventerà stabile?

"Sì, perché la posizione russa richiede un’attenzione particolare. E questo dimostra anche quante bugie hanno raccontato certi amici di Putin in Italia secondo cui Mosca voleva solo salvare le province russofone come il Donbass. Invece dimostra di voler conquistare l’intera Ucraina. È falso che la Nato voglia allargarsi, è la Russia che vuol far valere la legge del più forte. E Putin vuole reinventare la vecchia Urss".

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La difesa europea (ieri è stato approvato il piano d’azione per spingere i finanziamenti sulla difesa dell’Ue).

"Non è possibile in tempi brevi. Per ora ne parliamo a livello concettuale. Faremo passi avanti quando avremo un assetto simile alla Nato. Servono procedure e regole comuni, stesse norme di linguaggio per far lavorare insieme forze armate di diverse nazioni. Stiamo iniziando a farlo".

È giusto continuare a inviare armi all’Ucraina?

"Il giorno in cui l’Occidente smette di inviare armi all’Ucraina la Russia arriva a Kiev. E se arriva a Kiev potrebbe succedere di tutto, compreso, Dio non voglia, un prodromo di un’altra guerra. La risposta è un netto sì: l’Ucraina va aiutata in tutti i modi e da tutti noi. L’Italia è in prima fila e non manda solo aiuti militari. In ogni caso mandiamo armi che aiutano l’Ucraina a difendersi e non possono essere usate per colpire la Russia sul suo territorio. Bisogna però costruire le condizioni di pace portando in ogni modo Putin a sedersi a un tavolo. Perché non saranno le armi, ma la diplomazia a far finire la guerra. Le armi servono a non far morire l’Ucraina. Vedo nelle università tante manifestazioni per Gaza, non altrettante per chiedere una tregua alla Russia. Eppure ogni giorno in Ucraina esplodono 10mila granate".

Gaza, l’Italia è disponibile a una forza di pace con l’Onu?

"Sia io sia il ministro degli Esteri Antonio Tajani abbiamo dato disponibilità a partecipare a una missione che serva a mettere fine alla guerra. Siamo stati la nazione che più ha fornito aiuti sanitari con la nave Vulcano e che ha messo a disposizione voli con l’Aeronautica Militare per portare i bambini di Gaza in Italia a curarsi. Sia i palestinesi sia il mondo arabo hanno capito che Paesi occidentali come l’Italia, pur amici di Israele, sono per il rispetto e i diritti di tutti i popoli. Anche gli Usa ora dicono no all’attacco a Rafah, Biden è venuto sulla nostra linea, potrei dire con ironia".

Libano, vista l’escalation dello scontro Israele - Hezbollah la missione Unifil a cui partecipa l’Italia ha ancora senso?

"Sì, ma occorre ragionare sulle regole d’ingaggio e stiamo sollecitando le Nazioni Unite a verificare che le condizioni sono cambiate perché è cambiata la situazione sul campo. I mezzi e le strutture di cui disponiamo, per esempio, sono adatti a una missione di pace, non sono attrezzati ad affrontare un ipotetico scontro tra Hezbollah e forze israeliane, stando nel mezzo. Ora stiamo lavorando per rinforzare le forze armate libanesi in accordo con Usa, Spagna, Francia, Germania Inghilterra e Paesi Arabi".

Visto lo scenario internazionale le nostre Forze armate come devono adeguarsi?

"Il mondo è cambiato a 360 gradi, non possiamo mantenere lo stesso strumento di difesa dei tempi di pace. Servono più uomini, più tecnologia, più armamenti, più addestramento, più interoperabilità. Dobbiamo agire sulle comunicazioni satellitari, valutare l’impatto dei satelliti in un possibile campo di guerra, assumere tecnologie che consentano a un mezzo terrestre di parlare con un velivolo. E accanto agli strumenti sofisticati servono persone addestrate per utilizzarli".

Cambia l’addestramento?

"Stiamo lavorando con tutti gli Stati maggiori, compresi i carabinieri, per adeguare lo standard e affrontare uno scenario nuovo. Recentemente ho parlato ai militari della Brigata Friuli a Bologna e ho detto loro che tutti possono partecipare al cambiamento con suggerimenti spesso utili se vengono dalla base".

Missioni all’estero, l’Italia le conferma?

"Sì, ma vanno riconfigurate. Chiederemo al Parlamento di adeguare il loro strumento normativo al fine di consentire e orientare rapidamente le risorse da un’area all’altra. Servono più velocità, più efficienza e meno burocrazia.