Roma, 16 gennaio 2025 – La fragile tregua fra Israele e Hamas nasce sotto la scure di un ultimatum. A lanciare il guanto di sfida a un combattutissimo Benjamin Netanyahu non è la controparte ma il partito di estrema destra israeliano Religious Zionism, che fa parte della sua stessa maggioranza di governo. Secondo quanto riportato dai media israeliani il ministro delle finanze Bezalel Smotrich, che aveva bollato l’accordo come "pericoloso" per Israele e fino all’ultimo aveva cercato di convincere Bibi a non sottoscriverlo, rimarrà nel governo di coalizione solo se il primo ministro accetterà il "ritorno di Israele in guerra per distruggere Hamas" dopo la prima fase dell'accordo di cessate il fuoco e rilascio degli ostaggi.
Ci sarebbe proprio Smotrich dietro la convulsa notte di trattative e il ritardo nell'annuncio dell'accordo sul cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi, come riferisce una fonte vicina al dossier citata dalla tv pubblica Kan. Nella notte più lunga di Bibi il consiglio dei ministri è stato rinviato, lasciando le speranze di tregua e del rilascio degli ostaggi appese a un filo. E mentre i consiglieri di Bibi in una nota ufficiale facevano sapere che Hamas avrebbe cambiato alcuni punti dell'accordo sulla tregua o comunque non li avrebbe accettati tutti e che “fino a quando non arriva la risposta definitiva”, il governo non si sarebbe riunito per votare l'intesa, tra Netanyahu e il suo ministro delle Finanze si consumava uno scontro politico che ha rischiato di portare allo strappo, con Bibi impegnato a convincere Smotrich a non lasciare la coalizione assieme all’altro ministro oltranziata Itamar Ben Gvir.
Retroscena non troppo velato dal momento che i capi fondamentalisti hanno subito fatto sapere di non avere cambiato posizione ed essersi impegnati nell'accordo annunciato ieri dai mediatori, puntando quindi il dito contro Netanyahu. Alla fine il rischio di uno strappo è stato sventato, almeno per il momento. Ma resta l’ultimatum di Smotrich che getta una luce cupa sulla già fragile tregua.
Alla fine anche gli Usa sono stati costretti ad ammettere l'impasse: il portavoce per la sicurezza nazionale John Kirby fa sapere che la Casa Bianca è "consapevole delle questioni che il primo ministro ha sollevato oggi e ci stiamo lavorando. Il nostro team sul campo sta lavorando con lui e il suo team per appianare tutto questo e andare avanti".
Intanto da fonti israeliane emerge che il team negoziale dello Stato ebraico e lo stesso capo del Mossad, David Barnea, sono ancora a Doha per definire i dettagli dell'accordo. La riunione del consiglio di sicurezza israeliano che avrebbe dovuto ratificare l'intesa e che si sarebbe dovuta tenere in mattinata, è slittata e non è ancora stata riconvocata. Più che a reali questioni sui dettagli dell'intesa (Israele nega le indiscrezioni secondo cui le forze di difesa israeliane sarebbero pronte a lasciare il corridoio Filadelfia nella prima fase) l'impasse sembra legata alla crisi interna alla maggioranza di governo. E mentre le trattative diplomatiche e politiche si complicano, Israele continua a bombardare Gaza.