Seul, 5 dicembre 2024 – “La Corea del Nord? È un problema sentito in Occidente. Qui ci siamo abituati, ogni tanto ci fanno piovere dal cielo spazzatura o escrementi, nient’altro”. Cristina è nata a Lima, figlia di diplomatici sudcoreani. Fino alla scorsa settimana accompagnava i turisti fra i quartieri di Seul. La legge marziale d’emergenza, annunciata dal presidente Yoon Suk-yeol per proteggere la Corea del Sud dai “nemici comunisti” dentro e fuori il Paese e revocata in poche drammatiche ore dopo il no del Parlamento, è caduta come un fulmine a ciel sereno fra i grattacieli tirati a lucido, con interi piani di prodotti cosmetici, cibo da tutto il mondo e pubblicità dei colossi di casa Samsung e Hyundai.
Uno schiaffo in un Paese stanco di guerre, abituato ad andare avanti con un modello ben chiaro: quello occidentale. A chi chiede a Cristina di visitare la Dmz, la zona demilitarizzata che divide le due Coree, lei risponde che per conoscere la storia bisogna andare al museo della guerra. Un palazzo che descrive un Paese dominato prima dai giapponesi, dilaniato dalla guerra di Corea poi, distrutto e ricostruito negli ultimi decenni grazie all’aiuto delle Nazioni Unite. La famosa zona demilitarizzata disegnata sul trentottesimo parallelo nel ’53 è invece meta per turisti, fra ponti sospesi e negozi di souvenir.
A Seul si gira in metropolitana fra vagoni tirati a lucido e telecamere ovunque, in una Svizzera asiatica dove tutti sembrano a loro agio, fra il viavai al centro culturale disegnato dall’archistar Zaha Hadid, le donne al sicuro anche la sera, i giovani silenziosi sui telefonini. Il Paese assomiglia a un grande set, con la passerella trasparente sospesa a 555 metri del Lotta Tower, 180 piani percorsi in ascensore in meno di un minuto. In mezzo un tripudio di parchi tematici e pupazzi che ti seguono fino all’isola di Nami sul fiume Han, famosa nel mercato turistico asiatico perché set dei più amati K-Drama, che come il K-Pop sono la nuova anima di questa terra che ha perso la storia sotto le bombe. “È la Korean Wawe, l’onda di influenza mediatica nata per risollevare l’immagine del paese”, racconta Linda Quero, in arte Shorelle, vicentina, classe ’97, arrivata tre anni fa a Seul dopo una laurea a Londra e oggi vocal coach e autrice di numerose band coreane.
“Qui si sono trasferiti i produttori di Los Angeles e quasi tutti sono stranieri”. Un miracolo con una regia ben precisa, con le band costruite a tavolino attraverso migliaia di audizioni. “I Bts sono un grande attrattore turistico – racconta Shorelle, che ha scritto una canzone per Jin – Dopo la guerra e il crollo della Borsa, le maggiori compagnie nazionali hanno investito nei titoli di Stato e lanciato la campagna d’immagine sfociata nella Hallyu. Dagli anni ’90 è stato un crescendo col K-Drama. Dal 2016 l’esplosione dei Bts”. Shorelle oggi è vocal coach di un gruppo, One Verse, che ha due componenti nordcoreani: “Sono scappati qui per fare K-Pop, gli altri due elementi sono un giapponese e un cino-americano. Vogliamo lanciare un modello di K-Pop più inclusivo e universale”. Coi Bts sono impegnati nel servizio militare, l’onda coreana può sorprendere ancora.