Lunedì 23 Dicembre 2024
Alessandro Farruggia
Esteri

Cop29, c’è il nuovo testo. Accordo possibile, non scontato

Appello per 1.3 trilioni di dollari per la finanza climatica, ma decisi solo 250 miliardi di dollari a carico dei paesi ricchi. Da Cina e Arabia Saudita impegni esclusivamente volontari

Baku, 22 novembre 2024 – Dopo un lungo braccio di ferro, ci sono i nuovi testi negoziali. E ora un accordo è possibile. Ma molti paesi in via di sviluppo e gli ambientalisti sono scontenti. In plenaria, con alcuni paesi potrebbero esserci problemi se non verranno introdotti correttivi.

Cop 29  ha come argomento chiave la cosiddetta “finanza climatica”. Ovvero il pacchetto di finanziamenti in parte pubblici in parte privati che saranno contenuti nel NCGQ  (New collective quantitative goal) e che aiuteranno (alimentando interventi di mitigazione, adattamento e perdite e danni) i paesi in via di sviluppo nella transizione.

AZERBAIJAN CLIMATE CHANGE CONFERENCE COP29
COp29 a Baku, la protesta degli attivisti per il clima (Epa /Ansa)

Sinora i fondi - secondo quanto decise COP15 a Copenaghen, nel 2009  – erano 100 miliardi di dollari all’anno, obiettivo peraltro raggiunto solo nel 2022. Era decisamente troppo poco e ma adesso i paesi in via di sviluppo chiedono che dal 2025 salgano oltre un trilione di dollari _ la cifra che fanno molti di loro è 1 trilione e 300 milioni _ per poi salire ulteriormente dal 2030. I problema non è solo la cifra, ma soprattutto chi paga. Solo il pubblico o anche il privato? I mutui agevolati sono parte della cifra? E soprattutto a mettere mano al portafoglio saranno solo i paesi sviluppati viste le loro “responsabilità storiche” nell’inquinamento da gas serra? Oppure anche alcuni paesi teoricamente in via di sviluppo, come la Cina e i petrostati, che definire paesi in via di sviluppo è però ormai improprio?  Su questo le scontro è stato durissimo.

La presidenza azera, che ieri aveva proposto un testo molto debole, con due opzioni antitetiche aperte e senza l’ammontare totale del finanziamento , ha lasciato le delegazioni discutere tutta la notte e stamani ha annunciato che avrebbe rilasciato un nuovo testo che teneva presenti le osservazioni della parti. Su questo sui sarebbe discusso ancora e poi in serata sarebbe stato proposto un nuovo testo, sperabilmente finale. E così, seppure con un ritardo di tre ore e mezzo, è stato. Ora la speranza è arrivare ad una nuova bozza in serata per poi discuterci tutta la notte e raggiungere verso l’alba ad un testo finale, emendato, sul quale votare. Ma vediamo il merito. 

FINANZA CLIMATICA

Il nuovo testo, al punto 7, “chiede a tutti gli attori a innalzare il livello di ambizione del finanziamento ai paesi in via di sviluppo per interventi legati al clima, mettendo a disposizione, da arte di fonti pubbliche e private “almeno 1.3 trilioni per anno entro il 2035” e “in questo contesto decide di fissare un obiettivo, con i paesi sviluppati a prendere la guida, di 250 miliardi di dollari fino al 2035 per l’azione climatica dei paesi in via di sviluppo”. “I fondi verranno “da una quantità di fonti, pubbliche e private, bilaterali e multilaterali, incluse fonti alternative”. Non solo. Al punto 9 la bozza “invita i paesi in via di sviluppo a dare contributi aggiuntivi, inclusi quelli attraverso una collaborazione sud-sud, all’obiettivo fissato al paragrafo otto”. Sembra la chiusura del cerchio. La cifra che si vuole mobilitare è alta come chiedono i paesi in via si sviluppo ma quella davvero decisa a carico dei paesi sviluppati è meno di un quarto, e potrà essere integrata da contributi, sempre volontari di paesi come la Cina, gli Emirati e l’Arabia Saudita. Da notare che la cifra che conta davvero è quella di 250 miliardi di dollari: gli 1.3 trilioni sono un target molto teorico, che serve soprattutto a fare scena. 

GLI AMBIENTALISTI SONO DELUSI

"Il testo sulla finanza climatica _ osserva Stephen Cornelius di WWF international _ è completamente inadeguato. Mi aspetto fuochi artificiali quando i paesi si vedranno in plenaria. L’importo globale deciso è indeguato e i paesi sviluppati non si sono neppure impegnati a farsene completamente carico. Abbiamo bisogno il “noccioo duro” delle risorse venga dalla finanza pubblica e che sia vicino a un trillione di dollari”.

MOLTI PAESI IN VIA DI SVILUPPO SCONTENTI

“I 250 miliardi offerti ai paesi in via di sviluppo _ osserva Juan carlos Monterrey Gomez, capo negoziatore di Panama _ sono uno sputo in faccia alle nazione vulnerabili come la mia. Ci offrono spiccioli mentrro contiamo i morti. Questo è oltrraggioso.

TRATTATIVA SENZA SOSTA

Per le COP finire ben oltre l’orario e persino la data stabilita è quasi la regola, ma stavolta c’è molto in gioco perchè senza una quadro robusto di finanza climatica i paesi in via di sviluppo non solo non potranno fare gli interventi di adattamento ai disastri climatici in atto ma non avranno neppure i soldi necessari per presentare degli ambiziosi nuovi obiettivi volontari di riduzione delle emissioni, i cosiddetti NDCS (Nationally determined contributions)  previsti a inizio 2025 in vista della prossima COP30 che si terrà in Brasile.  E’ un grosso problema perché per far fonte alla sfida climatica servono impegni di mitigazione, cioè di riduzione, da parte di ogni parte della Convenzione sui cambiamenti climatici, paesi sviluppati e non. Questo lo sanno tutti, ma nessuno per ora vuole cedere e la trattativa si annuncia estremamente complicata. Una vera partita a poker, nel quale l’Europa gioca come sempre il ruolo positivo di “lievito”, sia pur tenendo conto dei propri interessi. 

"A COP 29 _ osserva il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin _ l’Italia, insieme ai principali paesi europei, continua a spingere perchè da Baku venga una riforma della finanza climatica in maniera da renderla migliore e più efficiente, affinché coinvolga anche nuovi paesi , il settore privato, enti filantropici e banche multilaterali di sviluppo. Questo è il nostro approccio,  che tiene conto delle priorità sia di chi chiede più risorse finanziarie sia di chi chiede più mitigazione. E d’altra parte perseguire la decarbonizzazione e la crescita dei più vulnerabili che è anche alla base del piano Mattei”.

 L’Europa conta ancora di riuscire ad unire le sue esigenze con quelle dei Paesi in via di sviluppo.  Far saltare tutto non conviene a nessuno, ma la storia delle negoziazioni climatiche è piena di eventi accaduti senza che le parti lo volessero scientemente, capitati semplicemente perché è stato impossibile trovare un minimo comun denominatore, trovare un compromesso Che pare profilarsi. Certo, con l’arrivo di Trump tutto sarà ancora più complicato. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia.