Hebron, 9 ottobre 2023 – All’indomani del lancio dell’operazione ‘Alluvione al-Aqsa’ dalla Striscia di Gaza contro Israele, bandiere del gruppo armato Hamas sventolano anche a Hebron. Ci troviamo in uno dei tre “cimiteri dei martiri” in cui, in città, vengono sepolti i giovani uccisi dalle forze armate israeliane. È in corso il funerale di Yousef Nader Suliman Idreas, diciannovenne palestinese colpito da uno dei proiettili che ieri cecchini e soldati israeliani sparavano dai tetti dei palazzi e da terra. I bersagli erano folle di giovanissimi palestinesi, nessuno di loro raggiungeva i trent’anni. Erano armati di pietre che lanciavano contro i checkpoint e contro i mezzi militari, camuffati con passamontagna e alle prese con tentativi di appiccare fuoco a copertoni o scatole di cartone perché il fumo ostruisse la visuale ai tiratori scelti israeliani. Una guerriglia urbana con mezzi impari che si è concentrata al checkpoint di Bab al-Zawya, nel centro di Hebron, che separa l’area governata dall’Autorità Nazionale Palestinese da quella sotto totale controllo militare israeliano. Qui gli scontri sono proseguiti ininterrottamente dalle 11 del mattino alle 16.00 di pomeriggio circa, scanditi dallo scoppio di bombe sonore, gas lacrimogeni e dal suono martellante degli spari.
Yousef Nader Suliman Idreas però è morto a Kassara, nei pressi dell’insediamento israeliano di Kiryat Arba. Sono centinaia gli uomini presenti al suo funerale e, oltre alle bandiere verdi che sventolano, risuonano i canti che inneggiano al movimento armato al governo della Striscia. Il supporto per Hamas in città però non è militante nel senso proprio del termine: non ci sono gruppi armati impegnati in operazioni a Hebron. La celebrazione del gruppo islamista da parte dei giovani locali deriva piuttosto dalla loro percezione che qualcosa di più unico che raro sia avvenuto ieri: per la prima volta dopo decenni una forza palestinese ha attaccato Israele in un’operazione che ha sconvolto il nemico. Nella prospettiva di tanti di questi giovani le violenze perpetrate dai guerriglieri della Striscia contro i civili israeliani il 7 ottobre passano in secondo piano rispetto alla grandezza di questa operazione come un inedito atto di resistenza, reazione naturale a decenni di oppressiva e violenta occupazione imposta da Israele.
Sono questi i presupposti che hanno fatto sì che questi ragazzi scendessero in strada, senza però organizzazione o strategia, in una protesta caotica contro l’occupazione ed entusiasmati dall’azione militare di Hamas. Secondo la Mezzaluna Rossa, che ieri ha lavorato ininterrottamente per garantire i soccorsi, il bilancio in città è di due morti e undici feriti palestinesi. Nel villaggio di Beit Ummar a nord di Hebron anche il diciottenne Mahmood Baseem Khamess è stato ucciso. Tra i feriti invece c’è chi è stato colpito dai cecchini e chi dall’esplosione di munizioni sharpnel: mentre gli scontri proseguono, seppur con minor intensità, il numero continua a crescere.
Nel frattempo, i militari israeliani hanno bloccato tutte le vie d’accesso e di uscita da Hebron. Muoversi dentro la West Bank, e ancor di più uscirne per entrare in Israele, sta diventando più difficile con il passare delle ore: l’accesso a Gerusalemme è blindato sia dal Checkpoint 300, che la separa da Betlemme, che da quello di Qalandia nei pressi di Ramallah. Mentre Israele organizza la sua risposta, la gente a Hebron oscilla tra eccitazione e sorpresa da un lato e preoccupazione dall’altro: quando i checkpoint chiudono, la situazione non può che peggiorare.
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