Bruxelles, 12 luglio 2024 – Se il buongiorno si vede dal mattino, per Giorgia Meloni tenere un piede nella staffa atlantista, e l’altro in quella della destra sovranista sarà complicato. Ne era consapevole prima di partire per Washington, lo è ancor di più al rientro in patria. Nel giro di colloqui con i primi ministri europei ma anche con esponenti di spicco della sua squadra che l’hanno accompagnata nella trasferta americana, come Antonio Tajani e Guido Crosetto, la premier ha ragionato dell’importanza di avere una Commissione europea amica, con un commissario-vicepresidente con deleghe importanti (magari l’Agricoltura), anche per avere garanzie quando il dossier dei conti pubblici italiani dovrà passare il vaglio di Bruxelles. Dunque continua a trattare in vista del voto sulla presidenza di Ursula von der Leyen del 18 luglio.
Chiusa la parentesi negli Stati Uniti con il bilaterale con il premier inglese Keir Starmer, il negoziato che prima era dietro le quinte salirà sulla scena in queste ore quando la presidente del Consiglio avvierà i contatti diretti con la leader tedesca, in attesa del confronto con il gruppo dei Conservatori in programma martedì. "Ci muoveremo solo ed esclusivamente in base agli interessi dell’Italia", il refrain che circola a Palazzo Chigi mentre il caso Orban non accenna a stemperarsi.
I 25 ambasciatori, con l’eccezione di quello cecoslovacco, se l’erano cavata mercoledì con un monito severo ma privo di conseguenze rivolto al leader ungherese. Ieri tutto è tornato in ballo quando si è diffusa la notizia di un incontro tra il presidente di turno della Ue e Trump a Mar-a-Lago. Già furibondi, gli stati dell’Unione, hanno fatto subito due più due sospettando il premier ungherese di essere latore di un messaggio privato di Putin a Trump. Sospetto più che sufficiente per rimettere in ballo l’ipotesi di sottrarre all’Ungheria in anticipo la presidenza dell’Unione. Che si arrivi a tanto resta difficile, ma sul tavolo c’è l’idea di privare Budapest dell’informale Difesa, prevista a fine agosto, trasformandolo in un consiglio Affari esteri. L’Italia mercoledì si è schierata con gli accusatori di Orban, 24 ore dopo il co-presidente dell’Ecr, Nicola Procaccini, cerca di recuperare assicurando che nel mazzo delle cariche che spettano ad Ecr (la presidenza delle commissioni Agricoltura, Bilancio e Petizioni nonché due vicepresidenze d’aula), non ci sarebbero i posti "dovuti" ai Patrioti del leader ungherese: "Il cordone sanitario sia un abominio democratico: non prenderemo mai una posizione rubata all’estrema sinistra o all’estrema destra".
Insomma, la premier italiana non si trova in una posizione comoda: la partita europea è tutt’altro che in discesa e il gruppo Ecr è diviso. "Lasceremo libertà di voto", scandisce Procaccini. Era scontato: i cechi di Ods hanno già detto che voteranno sì, i polacchi del Pis che diranno no. Il problema riguarda gli italiani, ovvero FdI, la delegazione più folta. Procaccini mette le mani avanti: "L’agenda che abbiamo avuto modo di vedere non cambia rispetto a quella di 5 anni fa e al momento non ci sono le condizioni per votare von der Leyen".
In parte è una dichiarazione obbligatoria a trattativa in corso, in parte è un fatto che la strategia perseguita per due anni da Meloni, di spostare a destra l’asse di Bruxelles ponendosi come perno degli equilibri europei è già fallita già comunque vada a finire il tormentone del voto. È vero che la candidata del Ppe a caccia di consensi ha promesso tutto a tutti, e dunque la soddisfazione dei Verdi pronti ad appoggiare la leader tedesca previo documento che certifichi il loro ingresso in maggioranza non fa del tutto testo. Ma è anche vero che la trattativa con gli ecologisti si è svolta alla luce del sole mentre quella con i conservatori è sempre accompagnata dall’assicurazione che con loro non ci saranno accordi strutturali: il sostegno di Ecr farebbe aumentare i franchi tiratori in Renew e nei socialisti. Non stupisce se, in cerca di garanzie, von der Leyen ha telefonato al presidente del Pd ed ex governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini.
Se la scelta di FdI è ancora ufficialmente in sospeso, più che di spostamento a destra dell’Unione, ora si può certo parlare di spostamento al centro di FdI. Del resto, Procaccini lo dice quasi esplicitamente: "Ecr è una destra moderata; lo siamo e lo saremo".