di Marta
Ottaviani
Ci sono cose che proprio il tempo non riesce a cambiare. Una di queste è la pessima abitudine dei russi di spiare gli altri Paesi, spesso reclutando persone che in quei luoghi sono nati. Oltre al danno, insomma, anche la beffa di essere stati traditi da ‘uno dei nostri’, che non di rado lavora proprio nella burocrazia dello Stato. L’ultimo allarme, solo in ordine di tempo, arriva dagli Stati Uniti. Secondo Washington, sarebbe in atto un programma di infiltrazione sistematica di cittadini russi in Paesi occidentali per sostenere l’immagine del Cremlino. Ovviamente, si tratta di persone alle dipendenze dell’Fsb, il servizio segreto Russo, erede del Kgb e nel quale lavorava il presidente russo, Vladimir Putin. Il compito di queste novelle spie dovrebbe essere quello di stringere rapporti di amicizia con l’alta burocrazia, figura dell’establishment economico, giornalisti.
Un soft power che risponde a logiche di guerra non lineare e di destabilizzazione di Paesi considerati ostili dal loro interno. Poi c’è il vero e proprio lavoro sporco e in questo i russi, purtroppo, sono dei maestri, anche a causa del clima di perenne sospetto in cui vivono. Sono così bravi che spesso trovano persone di altre nazionalità che li prendono così a cuore da fare il lavoro al loro posto. La settimana scorsa, in Gran Bretagna, sono stati arrestati tre cittadini bulgari. Si tratta di Orlin Roussev, 45 anni, Bizer Dzhambazov, 41 anni, e Katrin Ivanova, 31 anni. Ufficialmente erano accreditati come giornalisti che lavoravano per media americani. Ma nei loro appartamenti hanno trovato passaporti di varie nazionalità, fra cui l’Italia. Non va meglio in Germania, dove un funzionario è stato arrestato per aver passato informazioni alla Russia. Thomas H., così è noto alle cronache, lavorava in un ufficio che si occupa di attrezzature di sicurezza informatica. E se si conta che i russi sono noti anche per la perizia con la quale conducono attacchi hacker, meno cose scoprono, meglio è. Non poteva mancare l’Italia. La Marina si sta ancora riprendendo dallo scandalo che nel 2021 ha travolto l’ufficiale Walter Biot, poi condannato a 30 anni dal tribunale militare per aver passato a Mosca documenti classificati.
Del resto, i russi lo spionaggio ce l’anno nel sangue. Il problema è quando riescono a convincere anche gli altri a spiare per loro. Il caso più noto è quello di Kim Philby, il più noto dei Cambridge Five, ossia i cinque studenti del prestigioso ateneo inglese che poi sono diventati spie dell’Unione Sovietica. Philby, in particolare, fu quello che destò più scalpore. Proveniva da una famiglia molto agiata, aveva fatto le scuole migliori e tradì il suo Paese per decenni, fino al voltafaccia definitivo, quando defezionò a Mosca, rinunciando alla cittadinanza britannica per acquisire quella sovietica. Ma i russi sono riusciti a ingannare anche gli americani. Rudolf Abel, una delle spie più brillanti dell’epoca sovietica, visse serenamente a Brooklyn per anni, sotto il nome Golfuss. Di professione faceva il pittore e il fotografo, peccato che nel molto tempo libero era intento a rubare informazioni. Non solo uomini. Melita Norwood è considerata la donna più pericolosa mai reclutata dall’Unione Sovietica. Classe 1912, lavorò indisturbata fino agli anni ’90. Gli inglesi si accorsero della spia in casa solo grazie alle rivelazioni di Vassilij Mitrokhin. A quel punto, per evitare una brutta figura, decisero di lasciare correre. Melita è morta serenamente nel suo letto nel 2005.