Roma, 30 ottobre 2023- La maggiore minaccia arriva da nord, dal Libano. Ma se il conflitto dovesse espandersi anche a ovest, allora Israele si troverebbe letteralmente circondato, nel secondo caso da nemici che ha contribuito a fomentare. Ieri in una giornata di scontri estesi fra l’esercito e la popolazione locale in Cisgiordania sono rimasti uccisi complessivamente cinque palestinesi. Gli incidenti più gravi sono avvenuti nel campo profughi di Askar (Nablus) e a Tubas. Nel campo profughi di Deheishe (Betlemme) un giovane è stato colpito da un proiettile dell’esercito mentre si trovava sul tetto della propria casa. Il suo corpo è stato scoperto solo in un secondo tempo.
La Cisgiordania è in ebollizione da sempre, con una Anp, l’Autorità nazionale palestinese, che il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha contribuito a spogliare del suo ruolo politico progressivamente, non riconoscendola come interlocutore. In parallelo si è sviluppata una sclerotizzazione dalla vita politica di un’area dove non si tengono elezioni dal 2005. La classe politica è rappresentata da elementi sulla scena da decenni, che, oltre a non aver contribuito alla soluzione della cosiddetta questione palestinese, adesso si trovano in una situazione difficile da cui uscire, stretti da una parte dai terroristi di Hamas, che ha anche buttato fuori l’Anp dalla Striscia di Gaza, dall’altra da Israele. Tel Aviv, infatti, ha inaugurato una linea di tolleranza zero che, col massacro di Gaza, rischia di incendiare proprio una Cisgiordania sempre più in preda al fanatismo e senza leader in grado di fermare una rivolta su larga scala.
“Il problema del rinnovamento dei vertici dell’Anp – spiega l’ambasciatore Stefano Stefanini, diplomatico di lungo corso – esiste da tempo. I governi israeliani, soprattutto quelli guidati da Netanyahu hanno messo la questione palestinese praticamente sotto il tappeto. A parole sostenevano gli accordi di Oslo, ma praticamente non facevano niente per riprendere in mano la soluzione dei due popoli e due Stati. L’Anp, da parte sua si sta avvitando da oltre 10 anni".
Il risultato, adesso, è che come minimo si rischia una terza Intifada, se non addirittura un’estensione del conflitto. "Il rischio di una terza Intifada dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre – continua l’Ambasciatore Stefanini – è aggravato dalle provocazioni dei coloni più estremisti. Fino a questo momento è stato contenuto sia dalla dirigenza politica dall’Anp che dalla presenza della polizia militare israeliana che tiene a freno i coloni. Non dobbiamo dimenticare però che il rischio maggiore di estensione del conflitto arriva dal Nord. Scambi di missili fra Israele ed Hezbollah sono all’ordine del giorno. In Cisgiordania la situazione è più difficile da gestire perché ci sono due elementi al di fuori del controllo statale: l’estremismo dei coloni e le infiltrazioni terroristiche. Sia ad Abu Mazen sia a Netanyahu non conviene che il conflitto si allarghi alla Cisgiordania ma la dinamica sul terreno gli può scappare di mano".
Il leader dell’Anp, infatti, deve fare anche i conti con il fatto che il suo territorio è sotto controllo solo fino a un certo punto. Da tempo cellule di Hamas e della Jihad islamica hanno infiltrato la Cisgiordania, reclutando nuovi adepti e facendo leva proprio sull’irrisolta questione palestinese per convincere soprattutto i più giovani ad aderire alla lotta armata. Un problema, questo, destinato a rimanere anche nel ‘dopo Gaza’. Per quanto la soluzione del conflitto appare molto lontana, una Anp con una dirigenza poco seguita e non in grado di controllare il suo territorio difficilmente potrà gestire una fase tanto delicata. Si parla, anche in Israele, di un ritorno dell’Anp a Gaza ma dovrà essere in grado di governarla.
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