Proteste così partecipate la Cina non le vedeva da 33 anni. Ma paragonarle a quelle di piazza Tienanmen sarebbe fuorviante. Francesco Sisci, sinologo, accademico e per anni corrispondente dalla Cina, ha spiegato quali siano le caratteristiche delle manifestazioni, legate soprattutto alla pandemia da Covid-19 e a che cosa potrebbero portare.
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Professor Sisci, in Cina stiamo assistendo a proteste che nel Paese non si vedevano da tempo. Molti le paragonano a piazza Tienanmen. Ci sono delle similitudini?
"Assolutamente no. Sono molto diverse e per vari motivi. Direi soprattutto due. Il primo è che non esiste un rapporto fra manifestazioni di piazza e divisioni nella leadership del partito, mentre ai tempi di Tienanmen ai vertici del Partito comunista c’era divisione di opinione. Il secondo è che allora le manifestazioni erano guidate sostanzialmente dagli studenti e quindi avevano una motivazione politica chiara. Oggi le manifestazioni sono, se vogliamo, più banali e radicali: la gente vuole poter uscire di casa, 30 anni fa si protestava contro la negazione della libertà politica".
Chi c’è in piazza ora in Cina?
"Sembra che chi protesta sia gente comune. Ci sono i giovani, c’è qualche universitario. Ci sono persone che sono state chiuse per mesi nei condomini e non ce la fanno più. Soprattutto perché vedono il resto del mondo che sta tornando alla normalità, se ne rendono conto anche solo guardando alla televisione le immagini dei Mondiali di Calcio".
Il clima è molto cambiato rispetto a febbraio-marzo 2020, quando scoppiò la pandemia. Perché?
"Perché in quel periodo la gente si fidava del governo. A marzo-aprile il Covid era gestito male in Occidente, anche in Italia. Al confronto la Cina sembrava governare meglio questa emergenza. Oggi la situazione è capovolta".
Da che cosa dipende questo cambiamento?
"C’è una campagna vaccinale scarsa, fatta con vaccini non particolarmente affidabili, non nocivi, ma nemmeno una barriera efficace contro il virus. Tanta gente non è vaccinata. I cinesi sono obbedienti e diligenti, quindi non c’è stata nemmeno un’immunità di gregge, ma piuttosto una debolezza sociale al virus. In ultimo, le strutture sanitarie in Cina non sono quelle né dell’America né dell’Europa. Le terapie intensive non basterebbero. Se si toglie il lockdown adesso, fra un mese rischiamo un’ondata importante di morti".
Queste rivolte possono nuocere alla leadership di Xi Jinping? Direttamente o anche indirettamente, nel senso che qualcuno potrebbe approfittare del momento per mettere in discussione il suo primato?
"La divisione di opinioni del 1989 di cui parlavo oggi non c’è. I vertici sono tutti dominati da Xi e data l’organizzazione del partito che è molto rigida, ancora più di 33 anni fa. Difficile che oppositori del leader riescano a organizzarsi anche solo per fargli uno sgambetto. Quello che c’è è una sfida al modo di pensare le cose da parte del partito, dove quella tradizionale si sta sgretolando".
In che senso? "Per semplificare, la Cina ha un modo di pensare le cose come l’imperatore giallo, ossia colui che riesce a regolare il flusso del Fiume Giallo con dighe e paratie. Il controllo del fiume corrisponde al mito dell’ordine in Cina. Se gestisci bene avrai sempre ordine. In altro caso, avrai caos, disordine e malattie. In Occidente abbiamo una concezione di ordine/disordine molto diversa. Pensiamo al Mediterraneo, battuto da venti che cambiano spesso. È caotico per sua stessa natura, non può essere regolato con dighe e paratie. Tutto questo per dire che la Cina pensava di poter dominare il Covid, che però, per sua natura, non è dominabile come il Mediterraneo. Devi affrontare il caos per cercare di barcamenarti".
Quale può essere la conseguenza di tutto ciò?
"Non lo so, di certo il modo di pensare attuato finora però non sta funzionando. Possono cercare di porre nuovi argini, ma più ci provano più falliscono".
Le proteste aumenteranno?
"Non saprei. Il governo non è stupido e passivo. Sta concedendo licenze su base locale. Ma la situazione economica ora è critica, non tanto per la produzione, ma per il consumo interno, che è calato considerevolmente".
È per questo che la Cina si sta tenendo fuori dalla guerra in Ucraina?
"No, credo sia dovuto al fatto che la Cina si sia sentita ingannata dalla Russia. Putin aveva promesso che avrebbe conquistato l’Ucraina in 15 giorni. Questo non è avvenuto e da quel momento la Cina si è progressivamente allontanata".