Roma, 17 gennaio 2024 – Per il suo export la Cina dipende per il 95% dal commercio marittimo. E il Mar Rosso è un'importante porta d'accesso per i prodotti cinesi ai mercati africani, europei, arabi e americani, grazie alla sua posizione strategica sul Mar Rosso e sul Mediterraneo, passando per il Canale di Suez. Eppure la sua reazione alla tensioni nel Mar Rosso, compresi missili lanciati contro alcune sue navi, e persino agli attacchi angloamericani contro gli Houthi, è stata estremamente prudente.
“Gli attacchi terroristici dei ribelli Houthi dello Yemen , in particolare nel Mar Rosso e nello stretto di Bab-el-Mandeb - scrive la rivista The Diplomat, particolarmente attendibile nella lettura di fatti dell’Asia-Pacifico - minacciano le navi cinesi e hanno un impatto negativo sugli interessi commerciali delle aziende cinesi. Tuttavia, la risposta di Pechino è stata caratterizzata da un silenzio virtuale. Per quanto riguarda gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso, la risposta della Cina è stata tipicamente cauta e contenuta. Negli ultimi due anni, la Cina ha sostenuto le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che classificano e condannano gli Houthi come gruppo terroristico. Tuttavia, negli ultimi tre mesi non c'è stata alcuna condanna formale da parte cinese degli attacchi Houthi”. “Pechino - prosegue the Diplomat - ha espresso preoccupazione per l'aumento delle tensioni nel Mar Rosso dopo che Stati Uniti e Regno Unito hanno effettuato attacchi contro diversi obiettivi Houthi all'interno dello Yemen e l’ambasciatore cinese presso le Nazioni Unite, Zhang Jun, ha invitato le parti interessate (Stati Uniti e Houthi) a svolgere un "ruolo costruttivo e responsabile nell'allentare le tensioni nel Mar Rosso". Allo stesso tempo, la dichiarazione di Zhang ha incluso una rara menzione diretta degli Houthi e una denuncia del loro ruolo nell'attaccare le navi civili: "Chiediamo agli Houthi di attenersi alle disposizioni della risoluzione del Consiglio di sicurezza e di interrompere immediatamente i disturbi alle navi civili, nonché di rispettare le libertà di navigazione di tutti i Paesi del Mar Rosso". E’ un primo segnale di irritazione, ma ancora lontano da una presa di posizione netta che porti a delle conseguenze, anche militari.
Allo stato solo parole, probabilmente perché l’impatto economico è ancora considerato sostenibile e la narrativa cinese degli Stati Uniti come fattore destabilizzante sembra ancora pagante. “Sebbene gli attacchi abbiano preso di mira anche navi non legate a Israele - osserva Ahmed Aboudouh del prestigioso think thank britannico Chatham House - Pechino ritiene che qualsiasi sostegno politico alla coalizione marittima guidata dagli Stati Uniti contro gli Houthi comprometterebbe il suo appoggio a un cessate il fuoco permanente e al processo di pace a Gaza, inimicandosi le popolazioni regionali e delegittimando le sue prospettive a lungo termine di leadership del Sud globale. Pechino è anche convinta che è improbabile che il commercio cinese venga gravemente colpito dagli attacchi. Gli Houthi hanno finora ignorato le petroliere e quasi certamente eviteranno di colpire le navi cinesi, per evitare di mettere in imbarazzo l'Iran o di provocare un drastico cambiamento nella posizione di Pechino. Da un punto di vista puramente economico, poi, i costi di navigazione e i premi assicurativi sono aumentati, ma sono ancora ben al di sotto dei livelli di Covid-19”.
La linea probabilmente rimarrà la stessa anche se è probabile che Pechino - che ha stabilito ottimi rapporti sia con l’Iran che con l’Arabia Saudita, consentendo lo scorso anno il loro storico riavvicinamento -, premerà discretamente su Teheran perché convinca gli Houthi a ridurre la frequenza e la portata degli attacchi, evitando accuratamente le navi cinesi.
Sarebbe una risposta soft e pragmatica che avrebbe il vantaggio, agli occhi cinesi, di mantenere la pressione sugli Stati Uniti confermando la narrativa propagandista di Pechino che vuole Washington come fattore di instabilità globale e Pechino come potenza responsabile.