Roma, 18 luglio 2024 - Senza soldi – tanti soldi – non puoi vincere le elezioni americane. E negli ultimi mesi, ben prima del dibattito Biden-Trump, il vento sembra essere cambiato e il presidente uscente non è più in testa nella raccolta di finanziamenti per la campagna elettorale.
Ad avere più fondi ora è Donald Trump, che tocca 403 milioni di dollari e sopravanza di una incollatura Joe Biden, che è a quota 401. A questo va aggiunto che il secondo più grande dei comitati dem che raccolgono fondi per i candidati, il Future Forward, ha visto la grande maggioranza dei finanziatori congelare il loro contributo in attesa di chiarezza sulla sorte di Biden: sui 101 milioni di dollari totali raccolti da Future Forward, che sinora ne ha spesi solo 9, ne son stati bloccati 90 su 93. Certo, ci sono gli altri PAC, soprattutto ’Biden for president’ (231 milioni di dollari raccolti) e ci sono i soldi dei piccoli finanziatori, ma la campana sembra suonare per Biden.
È il trend recente a preoccupare i democratici. Il Financial Times scrive che nel secondo trimestre del 2024 ci sarebbe stato un boom a favore di Trump, creato in buona parte da piccoli donatori arrabbiati per la condanna di Trump per i soldi alla pornostar: sarebbero, infatti, state ben 450mila le donazioni il 31 maggio, il giorno dopo la condanna. E nei giorni scorsi a favore del’ex presiedente c’è stata anche la promessa di Elon Musk di investire 45 milioni di dollari al mese su Trump, sopravanzando l’elusivo banchiere Timothy Mellon e diventando il maggior contributore. Mentre al terzo posto dovrebbe salire Miriam Adelson, erede di un impero di casinò.
Anche Biden ha molti miliardari tra i finanziatori, dal tycoon ed ex sindaco di New York, Michael Bloomberg, al ’venture capitalist’ ed fondatore di LinkedIn, Reid Hoffmann, a Dustin Moskvitz, Jim Simons (morto a inizio maggio), Michael Moritz. Tra le celebrità da notare 1,8 milioni di dollari di finanziamento dal regista Steven Spielberg e sua moglie. Tra i dem una quota rilevante (42,1%) viene da contributi da meno di 200 dollari, cioè viene dalla base. Per Trump il valore percentuale dei mini contributi è invece molto più basso, appena il 30,9%. A contare molto di più sono i grandi finanziatori: la finanza, gruppi di azione legati ai pensionati, poi il settore oil & gas, trasporto aereo, immobiliare, salute, tabacco. I grandi finanziatori per Biden sono, invece, dopo i gruppi di azione legati al partito e ai pensionati, la finanza, i grandi studi legali, il settore educativo, l’editoria, l’immobiliare.
Lo Stato che contribuisce di più per Trump è il sottopopolato Wyoming, col 19,8%, grazie al fatto che ospita Timothy Mellon. Seguono Florida, Texas e California. La prima città è West Palm Beach, in Florida. Per Biden invece lo Stato più munifico è la California, con ben il 25,6%, seguita distanza da New York, dal District of Columbia, ovvero sia Washington, e dall’Illinois. E la città più generosa per i dem è San Francisco, davanti a New York.
Allo stato niente, neppure il malcontento dei finanziatori, sembra fermare Biden nonostante anche la grande maggioranza degli elettori, pure democratici, chieda un passo indietro. Dopo aver tentato con un colpo di mano di far votare on line la nomination già da lunedì 22, il ’comitato delle regole’ del comitato nazionale democratico ieri ha rinviato l’appuntamento ma di una sola settimana, dal 1° al 7 agosto. Quando il 19 agosto delegati democratici arriveranno alla convention di Chicago sarà tutto finito da un pezzo e Biden, piaccia o meno a elettori e finanziatori, sarà il candidato. A Trump di sicuro piace un sacco.