Mosca, 16 febbraio 2024 – Alexei Navalny, uno dei principali volti dell’opposizione russa a Vladimir Putin, è morto in carcere oggi. A darne l’annuncio sono stati i media e le autorità carcerarie del Paese. Aveva 47 anni ed era a capo del partito Russia del futuro dal 2013; la formazione è stata formalmente sciolta nel 2021 dal procuratore di Mosca, che l’aveva accusata di essere un’“organizzazione estremista”, ma continua la sua attività clandestinamente.
I primi passi in politica
Navalny è nato nel 1976 a Butyn, poco distante da Mosca, da una famiglia di origini in parte ucraine e figlio di un ufficiale dell’Armata rossa. Dopo aver studiato legge all’Università russa dell’amicizia tra i popoli, ha lavorato come avvocato per diverse aziende. Ha dato poi inizio alla sua attività politica iscrivendosi al partito Jabloko, di cui diventa leader della regione di Mosca, per poi esserne espulso per via delle sue posizioni fortemente nazionaliste, da alcuni definite xenofobe. Tra i suoi primi interessi politici c’è stata la tutela dei cittadini dagli abusi edilizi: nel 2004 ha lanciato il Comitato per la protezione dei moscoviti, volto a proteggerli dalle decisioni urbanistiche considerate “illegali”.
Durante la guerra tra Russia e Georgia per il controllo dell’Ossezia del Sud – regione georgiana proclamatasi indipendente e filo-russa – si è dichiarato sostenitore delle iniziative di Mosca. Nel 2009 ha ricoperto la carica di consigliere al governatore della regione di Kirov.
Dissidente anti-Putin
Nel 2011 ha dato vita al progetto RosPil, volto a monitorare gli appalti pubblici contro frode e peculato. Tramite di esso i cittadini potevano denunciare attività considerate illecite: qualora le indagini del team legale di RosPil avesse effettivamente riscontrato delle irregolarità, avrebbe fatto partire delle denunce. È proprio questo il periodo in cui sale all’onore delle cronache come dissidente anti-Putin, specie dopo aver etichettato il suo partito, Russia Unita, come un insieme di “ladri e truffatori”.
Nel 2012, alla rielezione di Putin come presidente della Russia per la terza volta non consecutiva, Navalny ha organizzato una grande manifestazione di protesta nel centro di Mosca, che ha portato in piazza tra le 25 mila e le 30 mila persone.
Nel 2013, dopo aver fondato il nuovo partito Alleanza popolare (che diventerà in seguito Russia del futuro), si è candidato come sindaco di Mosca, con l’obiettivo di sfidare il putiniano Sergey Sobyanin, non riuscendo nell’impresa, ma dichiarando di non riconoscere i risultati, frutto – a suo avviso – di una manipolazione.
Nel 2014 ha dichiarato la sua contrarietà all’annessione della Crimea.
Alla fine del 2016, Navalny ha annunciato l’intenzione di candidarsi alle presidenziali del 2018, ma è stato poi escluso dalle liste per via dei molti processi e condanne a suo carico, che secondo l’Occidente sono motivate politicamente. Tra di esse la più nota è quella per appropriazione indebita ai danni di Yves Rocher: l’azienda di trasporti fondata da Navalny e dal fratello Oleg avrebbe infatti, a detta dei giudici russi, sottratto al colosso francese 30 milioni di rubli. Nel 2018 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato il governo russo a risarcire il dissidente per i molteplici arresti e procedimenti penali, valutati come un tentativo di limitare la sua libertà d’espressione.
Navalny era ritenuto un dissidente ‘pericoloso’ agli occhi del Cremlino per via della sua visibilità in Russia e all’estero, per aver esposto la corruzione del regime di Putin e per la sua contrarierà all’invasione dell’Ucraina.
Il tentativo di avvelenamento
Il 20 agosto 2020, mentre era su un volo da Tomsk a Mosca, Navalny ha cominciato a manifestare sintomi di malessere, che lo hanno portato alla perdita di conoscenza. Dopo aver ricevuto le prime cure all’ospedale di Omsk, sotto invito della cancelliera tedesca Angela Merkel il dissidente è stato trasportato in una clinica a Berlino. Il 2 settembre le indagini tedesche hanno confermato l’ipotesi dell’avvelenamento da novichok, agente nervino che sarebbe stato applicato nelle mutande di Navalny durante la permanenza in un albergo di Tomsk.
Tornato in Russia nel gennaio 2021, è stato fermato all’aeroporto di Sheremetyevo per non aver rispettato l’obbligo di firma per una sua precedente condanna. Nonostante grandi proteste in tutto il paese e lo sciopero della fame, Navalny è stato detenuto da allora fino alla morte. Nel dicembre 2023 è stato trasferito nella remota colonia penale “Lupo Polare”, dove ha perso la vita.
La moglie e i figli
Nel 2000, Navalny ha sposato Yulia Abrosimova, da molti descritta come la ‘first lady dell’opposizione russa’, per via della sua costante presenza a fianco del marito nella sua carriera politica, nonché della sua stessa militanza. Dalla loro unione sono nati due figli: Daria – attualmente studentessa a Stanford – nel 2001 e Zakhar nel 2008.
Le accuse di xenofobia
Nel corso della sua carriera politica, specie nei primi anni, Navalny è stato spesso accusato da personalità russe e non di nutrire sentimenti razzisti. In passato ha paragonato i jihadisti russi del Caucaso – dalla pelle scura – agli scarafaggi da uccidere, e in un video ha ipotizzato la deportazione come strumento per combattere il ‘problema’ dell’immigrazione. In occasione del conflitto con Tbilisi, si era riferito ai georgiani come a dei “roditori”. Hanno fatto discutere anche le mail inviate a Alexander Belov, attivista antisemita e anti-immigrazione. Nel 2013, dopo l’omicidio di un uomo da parte di un cittadino russo di etnia cecena, Navalny ha legittimato le proteste degli abitanti di Pugachev – luogo del delitto – che chiedevano l’allontanamento di tutti i ceceni residenti.
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