San Paolo (Brasile), 1 novembre 2018 - La sfida è aperta. Cesare Battisti attacca frontalmente il neo presidente brasiliano Jair Bolsonaro. «È un fanfarone, non mi può estradare. Io sono protetto dalla Corte Suprema», dice con arroganza l’ex terrorista dei Pac. E lo dice dopo un vertice delicato con il suo legale Igor Tamasauskas. Battisti – che ha lasciato per tre giorni Cananeia per spostarsi a San Paolo dove ha svolto anche visite mediche – ha incontrato l’avvocato per definire la linea di condotta dopo la vittoria di Bolsonaro e le sue dichiarazioni sulla concessione dell’estradizione per l’ex Pac, condannato all’ergastolo per quattro omicidi negli anni di piombo. Luiz Inacio Lula da Silva, il primo presidente comunista del Brasile, nell’ultimo giorno di mandato, il 31 dicembre 2010, concesse un contestato status di rifugiato politico e quindi l’asilo.
«Lo faremo – ribadisce Bolsonaro – per dimostrare il nostro totale ripudio e l’impegno a combattere il terrorismo». L’avvocato Tamasauskas protesta: «Abbiamo fiducia nella giustizia. La situazione di Battisti è stata considerata legale e così si mantiene. Se Bolsonaro vuole rispettare la legge non può prendere tale decisione. Cesare è sereno».
Battisti ha goduto e gode nel suo esilio di varie protezioni. I sindacati gli hanno fornito una casa prima che Battisti stesso se ne costruisse una in un terreno anch’esso donato, dove si è trasferito da poco con moglie e figlia. E la sinistra brasiliana non ha mai smesso di essere accanto al terrorista che pur entrò da clandestino in Brasile nel marzo 2007, violando diverse leggi. Firmando lo status di rifugiato politico, Lula smentì la sentenza con la quale a maggioranza il Supremo Tribunal Federal aveva concesso l’estradizione. L’ex ministro della Giustizia, il gaucho Tarso Genro, fu il deus ex machina dell’operazione: sindaco di Porto Alegre e leader del Social Forum, è da sempre sostenitore di Battisti e di tanti altri attivisti italiani.
La successora di Lula, Dilma Rousseff, aveva promesso di «ridiscutere il caso», ma in realtà ha sempre rimandato con sdegno le richieste dell’Italia. Giudici amici di Lula hanno emendato reati, come il tentativo di fuga in Bolivia, e provvedimenti amministrativi che negavano l’asilo perché condannato per reati di sangue. Bolsonaro vuole abbattere questa protezione politica e per farlo si affiderà al nuovo ministro della Giustizia, probabilmente Sergio Moro, «il Di Pietro brasiliano», colui che ha dato il via, a Curitiba, all’inchiesta «Lava Jato», la mani pulite tropicale, che ha portato in carcere Lula (che deve scontare 12 anni e un mese).
Oggi Moro incontra Bolsonaro. «Se le proposte che mi farà mi sembreranno opportune, se le convergenze saranno rilevanti e le divergenze irrilevanti – afferma Moro –, non avrò alcun problema ad accettare». Ma c’è di più: Bolsonaro ha in mente Moro anche come presidente del Supremo. L’estradizione di Battisti sarà la prova decisiva per il doppio incarico.