Roma, 4 gennaio 2025 – Un’accusa volutamente generica, che potrebbe peggiorare nelle prossime ore e rendere la liberazione di Cecilia Sala ancora più complicata. Un governo, quello iraniano, che sente di avere il coltello dalla parte del manico e una maggioranza silenziosa all’interno del Paese che segue con apprensione il destino della giornalista italiana e spera che la sua vicenda possa portare all’attenzione internazionale la spietatezza del Repubblica Islamica. Pejman Abdolmohammadi, professore di Relazioni Internazionali del Medio Oriente e ricercatore dell’Ispi analizza la crisi diplomatica innescata dall’arresto di Cecilia Sala.
Professor Abdolmohammadi, iniziamo dal capo di accusa. Cecilia Sala è rea di aver infranto le regole della Repubblica Islamica. Cosa significa?
“Diciamo che è un’espressione molto generica. Può essere un’infrazione del diritto penale, del diritto civile, di quello del lavoro. La Repubblica Islamica deciderà se aggravarla o meno in base alla liberazione da parte dell’Italia di Mohammad Abedini”.
Un ricatto bello e buono.
“Ci troviamo di fronte a una crisi geopolitica enorme. Ci sono molti attori che si stanno confrontando. Si parla molto delle pressioni iraniane sull’Italia perché convinca gli Usa a ritirare l’estradizione nei confronti dell’ingegnere accusato di terrorismo. Ma c’è un altro fatto che va considerato. Il governo Meloni è stato l’unico esecutivo negli ultimi 30 anni che ha messo sotto pressione la Repubblica Islamica sui temi dei diritti civili e dei diritti umani. Si tratta da un lato di una cosa molto positiva a livello etico, ma anche per questo l’esecutivo ha più difficoltà a interagire”.
Fino a che punto si può spingere la Repubblica Islamica?
“La tradizione italiana è quella di trattare. A differenza di altri Paesi, l’Italia non lascia mai soli i suoi cittadini. L’Iran però adesso si sente in posizione di forza. Hanno una giornalista brava, riconosciuta, sanno di avere un grandissimo strumento di pressione. Adesso c’è stata una correzione del tiro da parte della Farnesina, ma nei primi giorni l’atteggiamento del ministro e dell’ambasciatrice a Teheran mi sono sembrati naive. Penso abbia ragione chi ha detto che nelle prime fasi il Ministero degli Esteri, non il governo, abbia peccato di superficialità”.
Che prospettive vede lei?
“Gli Stati Uniti di sicuro non vogliono che si tratti. È una situazione molto complicata, anche per il fatto che l’Amministrazione Biden è in scadenza. Prima del 20, quando si insedierà Trump, penso sia molto difficile che possa sbloccarsi”.
Teheran sente di avere il coltello dalla parte del manico, ma un caso geopolitico di questo genere non rischia di avere delle ripercussioni sugli equilibri interni della Repubblica Islamica?
“Molti analisti continuano a dire che i diplomatici della Repubblica Islamica sono diversi dai pasdaran. Non è così. Sono 45 anni che sento questa narrazione. È inutile cercare di dividere e dire che ci sono riformisti e conservatori, quelli bravi e quelli non bravi. La Repubblica Islamica ha preso Cecilia Sala e dietro questa decisione ci sono tutte le strutture del governo”.
Si parla di questo arresto in Iran?
“Sicuramente ha avuto un effetto sull’opinione pubblica. Il 70-80% che è contraria alla Repubblica Islamica o critica vede questo arresto come l’ennesima dimostrazione di prepotenza. Parte di queste persone, le vittime delle repressioni fra il 2022 e il 2023, pensano che adesso che è coinvolta una giornalista straniera, venga conosciuto dall’opinione pubblica internazionale un luogo dove sono stati detenuti e uccisi molti giovani eroi della libertà”.