Roma, 27 dicembre 2024 – Cecilia Sala, collaboratrice del Foglio e autrice del podcast quotidiano Stories sulla piattaforma Chora, è in carcere a Teheran dal 19 dicembre.
Il governo sta trattando per la sua liberazione, ma il fatto che la notizia sia stata mantenuta riservata per giorni preoccupa Pegah Moshir Pour, nata in Iran, cresciuta in Italia, in prima fila nella denuncia del regime islamico.
Giornalista, donna, in cella di isolamento nella prigione di Evin. Lei malgrado tutto riesce a essere ottimista?
“Conto sul lavoro sempre brillante della Farnesina e sui rapporti in fondo buoni fra i due Paesi. La speranza è tanta, l’apprensione anche. L’Iran è uno dei posti peggiori al mondo dove esercitare il mestiere di Cecilia, che a tutti gli effetti viene considerata una spia. Il Press Freedom Index del 2024 lo mette al 176esimo posto su 180. In termini di libertà di stampa siamo all’inferno. Come al solito la vita di un professionista mediamente famoso viene usata per mostrare quanto è forte il regime”.
Aveva un visto giornalistico. Carta straccia?
“Va sempre tutto bene finché non si racconta quello che non vogliono. Sapeva che bisogna stare attenti. Ma i suoi ultimi post sulla vita quotidiana delle donne e l’intervista alla comica Zeinab Musavi, la Littizzetto iraniana, devono avere fatto perdere la pazienza a qualcuno. Era comunque sotto osservazione. Chiunque entra in Iran lo è”.
Perché ha voluto rischiare?
“Per come la conosco io, per mostrare a sua volta quanto è forte il giornalismo. In nome della verità. Questo la rende diversa da tanti altri colleghi e molto amata. Specie fra i giovanissimi, che stanno scatenando un’onda di solidarietà sui social”.
Che cosa può succederle in carcere?
“Quello che ha riferito Alessia Piperno. Irruzioni continue, interrogatori a sorpresa, urla e spaventi. Spero davvero che sia lei a raccontare tutto nella prossima puntata”.