di Cosimo RossiROMAL’Italia vuole liberare al più preso Cecilia Sala. Innanzitutto per questo ieri notte la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è volata in Florida per incontrare il presidente eletto degli Stati uniti Donald Trump e il suo braccio destro Elon Musk.
Dal vertice a Palazzo Chigi di giovedì scorso coi ministri interessati – Antonio Tajani per gli Esteri, Carlo Nordio per la Giustizia e il sottosegretario Alfredo Mantovani per la delega ai servizi – la premier ha preso direttamente in mano il dossier sulla 29enne giornalista italiana, arrestata il 19 dicembre scorso a Teheran come gesto di rappresaglia per il fermo, tre giorni prima a Malpensa, dell’ingegnere svizzero-iraniano Mohammad Abedini-Najafabadi su mandato dell’Fbi.
Ai livelli più alti del governo si è formata la convinzione che è essenziale riuscire a risolvere la questione all’insegna "della ragion di Stato, che è la tutela della cittadina italiana", prima dell’insediamento di Trump il 20 gennaio. In modo cioè da non mettersi in una posizione di conflitto con la nuova amministrazione e da far ricadere eventuali incomprensioni sull’amministrazione di Joe Biden (che tra l’altro sarà in Italia dal 9 al 12 gennaio per una visita di commiato). Insieme con quella del silenzio, chiesta anche dalla famiglia di Sala, questa è dunque "la consegna ufficiosa" di tutto l’esecutivo.
Si parlava già da qualche giorno di una missione della premier in Florida, prima dell’Inauguration day, al quale fonti diplomatiche confermano che Meloni – pur invitata – ha deciso di non partecipare per non trovarsi troppo schiacciata sulle frequentazioni europee più sovraniste del neo presidente. Sul tavolo le questioni dei dazi, dei conflitti in corso, del rapporti con l’Europea. Ma soprattutto è il caso Sala ad aver accelerato la missione della premier.
L’aspirazione del governo sarebbe appunto risolvere la situazione entro l’insediamento di Trump. Fino al 15 gennaio, quando si svolgerà l’udienza per gli arresti domiciliari di Abedini, la consegna è quella del silenzio per tutti. Ma intanto è iniziato il lavorio per portare a casa la concittadina. Come notano in ambienti di governo la politica degli scambi è stata praticata per primi dagli Stati uniti, che proprio alcuni mesi fa, con la mediazione svizzera, hanno scambiato cinque iraniani detenuti negli Usa con altrettanti cittadini statunitensi, liberando in più 6 miliardi di crediti alla Repubblica islamica. Alla luce di ciò, dopo la decisione sui domiciliari, il ministro Guardasigilli Nordio potrebbe essere pronto a negare l’estradizione per Abedini. Anche in considerazione del fatto che i reati contestati in relazione ai rapporti coi pasdaran non trovano corrispondenza in Italia, dove i Guardiani della rivoluzione non sono considerati un’organizzazione terroristica.