Roma, 11 ottobre 2024 – Nel Medio Oriente sempre più in fiamme mezzo mondo chiede spiegazioni a Israele per i colpi di artiglieria sparati contro le basi dei caschi blu. Questa escalation, che sia casuale o voluta, nessuno se l’aspettava.
Gregory Alegi, membro di Fondazione Icsa, intelligence e analisi strategiche, è la prima volta che si registra un attacco al contingente Unifil?
“Direi di sì, i caschi blu sono normalmente impegnati in operazioni di peacekeeping e tranne episodi di frizioni con le popolazioni locali non mi risulta siano mai stati attaccati in modo diretto. L’unica volta che l’Onu ha a sua volta deliberato di attivare un conflitto è stato negli anni Cinquanta in Corea”.
Possono cambiare in peggio i rapporti tra Tel Aviv e l’Onu?
“Da decenni sono molto complessi. Basti pensare che nel 1975 una delibera, poi ritirata nel ’91, definì il sionismo una forma di razzismo. Recentemente quando all’Onu ha parlato il premier Benjamin Netanyahu alcuni Paesi sono usciti dall’aula. Aggiungiamo che l’agenzia Unrwa aveva dipendenti di Hamas. Gli spari contro Unifil sono più conseguenza che effetto di un quadro già logorato”.
Che percezione ha Tel Aviv delle Nazioni Unite?
“Non le vede come soggetto super partes, ai suoi occhi ha perso sacralità. Poche volte il Palazzo di vetro si è impegnato a difendere i confini di Israele”.
Che provvedimenti può adottare l’Onu adesso?
“Difficile dirlo. Se ci prova con il Consiglio di sicurezza rischia un veto. Potrebbe agire con una censura attraverso l’Assemblea generale, ma è una strada meno autorevole”.
Gli spari contro i caschi blu contemplano la violazione del diritto internazionale?
“È un atto di sfida che mette in difficoltà tutti, Occidente compreso. Sparare addosso a qualcuno è un atto di guerra, farlo contro Unifil è violare quantomeno il buonsenso. Ritengo l’episodio più una escalation politica che militare”.
Unifil può difendersi?
“La difesa è sempre consentita, ma in relazione a quest’episodio la ritengo una svolta improbabile. Piuttosto bisogna chiedersi sul serio se ha ancora senso mantenere una forza Onu così com’è oggi. È nata in altro contesto, ora è inadeguata”.
Israele può avere vantaggi se davvero volesse costringere Unifil a sgombrare il campo?
“Forse, ma non più di tanto. Il contingente Onu in questi anni non ha impedito il radicarsi della presenza e le incursioni di Hezbollah. Se però sparisce evapora anche quel minimo di deterrenza che in tempo di pace esercita sulla Blue line. Dopo questo episodio Netanyahu pagherà un prezzo più sul piano della reputazione che militare”.
Serve una risoluzione delle Nazioni Unite più forte per l’impiego dei caschi blu?
“Probabilmente sì e anche l’Occidente deve prendersi le proprie responsabilità e ripensare l’approccio. La situazione è complessa, anche per il fatto che alle Nazioni Unite è stato osservato un minuto di silenzio quando Israele ha eliminato Nasrallah, il capo di Hezbollah, una formazione terroristica”.
Israele rischia di perdere l’appoggio dei Paesi arabi moderati?
“Sì, anche se loro hanno interesse a contrastare l’Iran. Per ora mantengono un buon rapporto, ma più si alza la posta con morti tra i civili e più il rischio di vedere calare il sostegno è alto. Idem per la Giordania”.