Lunedì 25 Novembre 2024
REDAZIONE ESTERI

Voto Brexit, il Parlamento boccia l'accordo con l'Ue. Cosa succede ora: 5 ipotesi

Bilancio molto pesante per il governo: 432 no, 202 sì. May non si dimette: "Si voti la fiducia". Corbyn presenta la mozione e attacca: "Per la premier sconfitta devastante". Juncker: "Londra chiarisca le sue intenzioni, non c'è più tempo"

Theresa May durante la votazione (Lapresse)

Theresa May durante la votazione (Lapresse)

Roma, 15 gennaio 2019 - L'accordo sulla Brexit raggiunto a novembre con l'Ue dalla premier Tory, Theresa May, è stato bocciato stasera con il voto Camera dei Comuni britannica: 432 no contro 202 sì. La ratifica è stata negata con uno scarto di 239 voti, molto pesante per il governo. Sono mancati 115 voti della maggioranza. La premier però resiste e non si dimette: ha chiesto alle opposizioni di presentare una mozione di fiducia sul suo governo, per discuterla domani e vedere se l'esecutivo dispone ancora del sostegno di una maggioranza. La premier ha detto che il no all'accordo è chiaro, ma che non sono emerse altre proposte sul tavolo. E ha insistito, in caso di fiducia, sulla volontà di andare avanti e di continuare a lavorare per attuare la Brexit.

La mozione sulla fiducia è stata immediatamente presentata da leader laburista Jeremy Corbyn, che ha parlato di "sconfitta devastante", ha accusato la premier d'essersi negata al dialogo con l'opposizione per scongiurare un no deal e di aver privilegiato gli interessi del Partito Conservatore su quelli del Paese. Ha infine auspicato che la Camera dia domani il suo "verdetto sull'incompetenza di questo governo".

Il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, interviene pochi minuti dopo il verdetto: "Il rischio di un ritiro disordinato del Regno Unito dall'Ue è aumentato con il voto di stasera - dice -. Anche se non vogliamo che succeda, la Commissione Europea continuerà il lavoro di emergenza per aiutare a far sì che l'Ue sia pienamente preparata" ad ogni evenienza. "Chiedo al Regno Unito di chiarire le sue intenzioni non appena possibile. Il tempo è quasi finito", ha aggiunto. Il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, ha detto: "Il voto di Londra sulla Brexit è una brutta notizia. Il nostro primo pensiero sono i 3 milioni e 600 mila cittadini europei nel Regno Unito e i britannici che vivono nella Ue. Hanno bisogno di certezze sul loro futuro. Noi ci batteremo sempre per loro". 

Cosa succede ora? Il problema è che una maggioranza chiara, e politicamente gestibile, non si vede per ora, neppure su nessuno dei possibili scenari alternativi: almeno cinque, secondo gli ultimi conteggi dei media britannici. Eccoli.

SCIOGLIMENTO DEL PARLAMENTO ED ELEZIONI ANTICIPATE - È l'obiettivo a cui punta in prima istanza Jeremy Corbyn. L'incognita è se passerà. Liquidata la Camera, le urne potrebbero essere poi convocate al più presto nel giro di 25 giorni.

NO DEAL - Se domani non passa la mozione di sfiducia, e se nessuna delle alternative fa breccia in Parlamento, l'iter della Legge sul recesso dall'Ue (Whithdrawal Bill) già approvata dalle Camere prevede che la sera del 29 marzo 2019 il Regno Unito esca dal club europeo senz'intesa di sorta. Anche a costo d'innescare un terremoto immediato su economia, dogane e confini. Il governo - sulla carta - può del resto comunicare la scelta di questa via senza metterla ai voti, a partire dal 21 gennaio, e a quel punto a Westminster non resterebbe che prenderne atto.

SECONDO VOTO SULL'ACCORDO - L'esecutivo, dopo il no alla ratifica, è tenuto in base a un emendamento approvato appena pochi giorni fa a preparare un nuovo piano d'azione e tornare ai Comuni entro tre giorni lavorativi. Ma il Parlamento potrebbe prendere in mano la situazione, puntando a una riforma del regolamento che mira a dare priorità alle mozioni dell'aula rispetto a quelle del governo e a sottrarre al consiglio dei ministri il controllo del calendario. Sempre ammesso di trovare in aula una maggioranza trasversale.

RINEGOZIAZIONE COMPLESSIVA CON L'UE - Un quarto scenario è quello di chiedere l'estensione del termine negoziale almeno di qualche mese per la Brexit, innescato con la notifica britannica dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona nel marzo 2017, per tornare al tavolo della trattativa nella speranza di rivedere da cima a fondo l'intesa. Si tratta tuttavia di una prospettiva dilatoria legata alla disponibilità di Bruxelles e tutta da concretizzare. Nel caso, le ipotesi alternative più gettonate sono il modello di una Brexit più soft proposto dal Labour (con permanenza definitiva del Regno nell'unione doganale e rinuncia ad accordi commerciali autonomi con Paesi terzi); quello ancor più soft ribattezzato 'Norvegia Plus' (permanenza non solo nell'unione doganale, ma anche nel mercato unico, con obbligo di non mettere in discussione la libertà di movimento delle persone); o infine il 'Canada Plus' prediletto dai brexiteers (di fatto un mero accordo di libero scambio rafforzato coi 27).

REFERENDUM BIS (NO BREXIT?) - È lo sbocco invocato dai sostenitori più convinti del fronte Remain e conta sull'appoggio (maggioritario, ma non totale) del gruppo laburista e su quello di qualche decina di conservatori 'moderatì, oltre che dei partiti minori d'opposizione. A sollecitarlo è pure un movimento di piazza che auspica un nuovo 'Peoplès Vote' e che a ottobre ha radunato a Londra 700.000 persone. Ma per innescarlo serve in teoria l'ok del governo (che oggi non c'è) e il sostegno d'una maggioranza bipartisan tutta da inventare. Senza contare il timore di radicalizzare le divisioni nel Paese e i dubbi di legittimità sul tipo di quesito (solo sull'accordo May o con l'inserimento di una scelta esplicita in favore del ripensamento sulla Brexit?). E, last but not least, il fattore tempo, visto che secondo un team di costituzionalisti dell'University College of London per delineare il quadro normativo necessario a convocarlo occorrerebbero come minimo 22 settimane.