Roma, 16 dicembre 2024 – David, questa la traduzione del suo nome dal georgiano, ha 28 anni e nella vita traduce dall’inglese, soprattutto favole per bambini. Lo scorso 5 dicembre, una settimana dopo che il governo di Tblisi ha deciso di congelare l’avvio dei negoziati per l’ingresso della Georgia nell’Unione Europea e nel Paese sono scoppiate nuovamente le proteste, la polizia lo ha buttato a terra a margine di una delle tante manifestazioni e picchiato in modo brutale, soprattutto in faccia. Una triste eredità dell’epoca sovietica, secondo la quale una persona che porta i segni delle percosse che ha ricevuto, è automaticamente un ammonimento per tutti gli altri.
David, quando è stato aggredito, di preciso?
“Era lo scorso 5 dicembre. Mi trovavo in Besiki street, una delle strade che partono dalla Rustaveli (il viale di Tbilisi centro delle manifestazioni, ndr). Mi ero allontanato dalla strada principale perché la polizia aveva caricato con idranti e gas. Stavo cercando di ripararmi. Dal fondo della strada ho visto avvicinarsi un gruppo di poliziotti. Correvano e ho iniziato a correre anche io. Solo che mi è caduto il cellulare. Sono tornato indietro a riprenderlo. Pochi secondi, ma quelli mi hanno preso e buttato a terra”.
Per quale motivo?
“Chiedetelo a loro. Io non stavo facendo nulla. Ero completamente solo. Avevo addosso una maschera antigas rudimentale, ma quella nei giorni più duri della protesta l’avevano tante persone. Venivano distribuite per strada, per evitare di essere irritati dai gas (che secondo i medici non sono a norma e contengono sostanze cancerogene, ndr)".
Dunque, che ha fatto la polizia?
“Gli agenti mi hanno buttato a terra e hanno iniziato a prendermi a calci, soprattutto in faccia, ma anche sul resto del corpo. E nel frattempo mi insultavano”.
Quanti erano?
“Cinque, credo, forse sei. Tenevo gli occhi chiusi perché mi stavano prendendo a calci. Speravo solo finisse presto”.
Poi cosa è successo?
“Mi hanno caricato su una camionetta. Lì c’erano altre persone, cinque credo, che erano state picchiate come me. Ma non riuscivo a vederle bene, perché avevo preso troppe botte. Avevo ancora su la maschera antigas. Sentivo in bocca il sapore del sangue e con la lingua toccavo i denti per essere sicuro che ci fossero ancora tutti. Arrivato alla caserma di polizia, mi hanno picchiato ancora. Mi chiedevano di urlare ‘Lunga vita a Zviad Kharazishvili’, il capo delle forse speciali (sotto sanzioni da parte degli Usa e più volte accusato di percosse verbali e fisiche ndr.). Mi hanno preso lo smartphone, l’orologio, lo zaino e il cappotto. Non me li hanno ancora restituiti”.
E lei ha urlato quella frase?
“No, infatti mi hanno percosso ancora. Poi mi hanno buttato in una stanza per due ore. Io perdevo sangue, chiedevo l’arrivo di un medico. Ma quelli mi dicevano che altri erano stati picchiati in maniera ancora più forte e quindi di non lamentarmi. Alla fine, per fortuna, il medico è arrivato. Ha detto che non potevo stare lì e mi hanno portato in ospedale, dove sono rimasto due giorni”.
Tutto finito?
“Non direi. Tre giorni fa si è tenuto il processo. Mi hanno accusato di resistenza a pubblico ufficiale. Me la sono cavata con un richiamo del giudice, anche se sono stato picchiato senza avere fatto nulla. Altri sono stati condannati da 10 a 1 5 giorni di reclusione”.