di Marta OttavianiROMAL’intelligence ucraina mette a segno un altro colpo, dimostrando una capacità di azione che manca sul campo di battaglia. Questa volta, la campana della morte è suonata per Armen Sarkisian, di origine armena e sulla lista nera di Kiev da oltre 10 anni. Il mercenario è morto ieri mattina alla periferia nord-ovest di Mosca, nel complesso residenziale di lusso Alye Parusa, un grattacielo di 29 piani dove Sarkisian viveva.
La vittima stava uscendo con le sue due guardie del corpo per dirigersi al parcheggio, quando un ordigno potentissimo è deflagrato nella hall. Armen è morto in ospedale in seguito alle ferite riportate. Nulla da fare per uno dei due soldati addetti alla sua sicurezza, l’altro è gravissimo. L’agenzia di Stato Tass ha puntato subito il dito contro Kiev, specificando che, secondo le prime indagini, la bomba potrebbe essere entrata nello stabile nascosta in un pacco consegnato da un corriere, ma, vista la perfetta sincronizzazione dell’attacco con l’orario di uscita dell’uomo, potrebbe essere stato azionato da remoto.
Sarkisian aveva 46 anni ed era un cittadino ucraino, ma proveniente da quel Donbas dove una parte, rumorosa e belligerante, si considera Russia. Per questo, nel 2014, quando ricopriva la carica di presidente della Federazione di pugilato della repubblica popolare del Donetsk, aveva preso parte alle turbolente e poco chiare azioni dei separatisti. Considerato vicino all’ex presidente filorusso, Viktor Yanukovich, era accusato di aver organizzato aggressioni contro gli attivisti che manifestavano pacificamente a Maidan. Ricercato, era riparato in Francia. Nel 2018 Kiev era quasi riuscita a ottenere l’estradizione, ma poi i piani sono saltati. Riparato in Russia, dove ha trovato facilmente asilo, aveva fondato la Brigata ArBat, attiva soprattutto nel Donbas e composta da volontari armeni e che successivamente era stato assorbito nella rete di mercenari Redut, sostenuta dall’apparato dell’intelligence militare di Mosca. Ultimamente era stato ritratto con il presidente ceceno, Ramazan Kadyrov, segno che era introdotto negli ambienti più alti e quindi si sentiva protetto.
Ma non aveva fatto i conti con i servizi segreti ucraini che, appena lo scorso dicembre, lo avevano definito ‘un’autorità criminale nella regione di Donetsk che collabora con l’Fbs’. Il 18 dicembre scorso, l’intelligence di Kiev aveva messo a segno un altro colpo di alto livello. Il generale, Igor Kirillov, capo del dipartimento per le armi nucleari e chimiche delle forze armate russe e uomo di fiducia del presidente Putin, era stato ucciso mentre usciva da casa sua con il suo assistente, in un palazzo nella parte sud di Mosca, a circa sei chilometri in linea d’aria dal Cremlino. Anche in quel caso, fatale era stata una carica di esplosivo montata su un monopattino posto all’ingresso dell’edificio e fatta deflagrare da remoto.
Il 20 agosto 2022 scampò alla morte, ma solo per il volere del destino, il filosofo Aleksandr Dugin, considerato uno degli ispiratori di Putin. Sulla sua macchina, sulla quale era stata piazzata un’autobomba, salì, all’ultimo momento, la figlia Daria, giornalista, molto nota negli ambienti dell’estrema destra russa. I due avevano partecipato a una conferenza alle porte di Mosca. Sulla strada del ritorno, Dugin, che seguiva l’auto a poca distanza la vide saltare in aria.