
Caccia americani sulla pista della base Usaf di Aviano (Pordenone)
di Beppe BoniI numeri spiegano molto, ma non sempre dicono tutto e talvolta raccontano una visione parziale della realtà, che va vista nella sua prospettiva passata e presente. Un concetto, questo, che si può applicare nel contesto dell’attuale turbolenza geopolitica, dove l’Italia viene accostata alla Nato dagli Stati Uniti trumpiani come una delle nazioni poco generose, che contribuisce “solo” con l’1,49% del Pil, cioè poco oltre 31 miliardi, pur con l’impegno di arrivare al 2%. L’Italia è uno dei 12 Stati che nel 1949 furono i fondatori del club dell’Alleanza atlantica e ha sempre rispettato tutti gli impegni operativi, sia all’estero che sul territorio nazionale, dove da sempre ospita in coabitazione strutture militari, uomini, mezzi, tecnologia e sistemi d’arma in quantità superiore ad altri. Sentite cosa dice Alessandro Politi, analista e direttore della Nato Defense College Foundation, quindi uno che se ne intende: "Al di là delle cifre concordate per la spesa del Pil, l’Italia ha storicamente sempre dato un contributo logistico molto importante per la Nato e collabora stabilmente al mantenimento delle basi. La stessa valutazione vale anche per l’impegno di truppe, sia nelle esercitazioni che nelle missioni di peacekeeping all’estero. Da questo punto di vista possiamo dire che l’Italia si può collocare nella top 5 dei contributori operativi dell’Alleanza atlantica. La presenza del nostro Paese, quindi, riveste un ruolo importante e quello che alla fine conta è, nei fatti e nelle carenze, la capacità contributiva concordata a livello alleato, non cifre astratte". Più chiaro di così.
Inoltre, in l’Italia sono dislocati un centinaio di centri di ricerca, strutture logistiche, depositi, antenne radar e strutture di telecomunicazione. Poi, fuori dai riflettori, operano alcune basi segrete statunitensi. Come quelle negli altri Paesi Nato, godono di extraterritorialità e non sono soggette all’ordinamento giuridico della nazione in cui si trovano. Tutto ciò che accade al loro interno è coperto da segreto, così come il numero delle forze presenti. Come ha rilevato Alessandro Politi, l’Italia ha sempre risposto presente, soprattutto nelle missioni estere sotto l’ombrello dell’Alleanza.
Lo afferma nel proprio sito web pure l’organismo di Rappresentanza permanente dell’Italia presso la Nato di Bruxelles. "Dall’Afghanistan al Kosovo, dall’Iraq alla Libia, passando per le azioni di contrasto alla pirateria, fino alla lotta al terrorismo internazionale, l’Italia non ha mai mancato di fornire il suo apporto in termini di risorse economiche e umane alle principali missioni e operazioni della Nato, soprattutto per il ruolo che essa assume nell’assicurare stabilità in tutto il bacino del Mediterraneo". Non è un caso che proprio a Napoli, presso il Comando Interforze Alleato, sia stato creato lo Strategic Direction-South Hub, cioè l’occhio sul fronte sud, per osservare le dinamiche del Nord Africa, del Medio Oriente, del Sahel, del Sub-Sahara e delle aree più instabili. E qui c’è anche la base dei sommergibili americani.
Nella mappa Nato italiana funzionano poi, tra gli altri, centri fondamentali come il Multinational Cimic Group, Motta di Livenza (TV), per la cooperazione civile e militare nelle aree di peacekeeping, il Deployable Air Command and Control Centre, Poggio Renatico (Ferrara), il grande fratello radar che controlla i cieli e segnala anomalie che fanno alzare in volo i caccia, il Rapid Deployable Corps Italy, Solbiate Olona (Varese), organismo che gestisce un eventuale dispiegamento di forze terrestri e guida la sicurezza sul Paese, il Centre for Maritime Research and Experimentation di La Spezia, la cui missione è organizzare la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico della sicurezza sui mari. A Sigonella, in Sicilia, si trova il comando di monitoraggio in tempo reale delle truppe e da qui partono i droni che oggi controllano i confini ucraini.
Nel Documento programmatico pluriennale della Difesa 2024-2026 è scritto che l’Italia vuole mantenere tutti gli impegni assunti con la Nato, dove, tra le altre cose, "occorre incrementare la prontezza operativa e gli stock, soprattutto per munizionamento e armamento, anche per soddisfare ciò che l’Alleanza chiede quale contributo alla difesa collettiva". L’Italia non si è mai tirata indietro.