Roma, 8 maggio 2024 – “L’epidemia, finora, ha interessato sei allevamenti di mucche da latte in nove stati americani. È stato segnalato un solo caso umano, almeno 220 persone sono monitorate e almeno 30 sono state sottoposte a test. Molte di più, però, sono state esposte ad animali infetti e sono potenzialmente a rischio. È importante che siano monitorati e ricevano cure, se necessario”. Questo il monito lanciato dal direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, mentre aggiornava la stampa sull’epidemia di influenza aviaria in corso. Ghebreyesus ha spiegato che il virus HN51 “è stato rilevato nel latte crudo, ma la pastorizzazione lo uccide. Per questo, in tutti i paesi le persone dovrebbero bere solo il latte pastorizzato”.
Nel frattempo tre accademiche statunitensi hanno invece lanciato un vero e proprio allarme: “I casi umani sono sottostimanti, rischiamo una pandemia”.
Il virus HN51, noto come virus dell’influenza aviaria, si è recentemente evoluto e ha iniziato ad infettare i mammiferi. Lo dimostra l’epidemia che sta colpendo le mucche da latte in ben nove stati americani (Kansas, Idaho, Michigan, New Mexico, North Carolina, Ohio, South Dakota, Texas, Colorado). Ad essere colpito, però, è stato anche un allevatore del Texas, ad aprile. L’uomo presentava alcuni dei sintomi tipici di questa malattia e la conferma della diagnosi ha creato grande scalpore. Subito dopo il caso è stato raccontato in una lettera firmata da esperti dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) del Texas sulla rivista specializzata “New England Journal of Medicine”. Nella lettera, inoltre, si segnalava che “Infezioni umane sporadiche da virus dell'influenza aviaria ad alta patogenicità sono state segnalate in 23 Paesi in più di 20 anni”.
Adesso però tre esperte, Jennifer B. Nuzzo (docente di epidemiologia e direttore del Centro pandemico alla Brown University School of Public Health), Lauren Sauer (professore associato all'University of Nebraska Medical Center) e Nahid Bhadelia, infettivologa e professore associato della Boston University, hanno lanciato l’allarme e cercato di riportare l’attenzione sui casi di contagio umano del virus. E lo hanno fatto con un intervento pubblicato sul Washington Post nel quale si sottolinea: “Se molti lavoratori delle aziende lattiero-casearie contraggono l'H5N1 rischiamo una pandemia". Secondo le tre docenti “la minaccia principale è il contagio dei lavoratori delle aziende le cui mucche sono state colpite dal virus HN51. La nostra incapacità di proteggerli permette al virus di evolversi e diventare più pericoloso. L’incremento dei casi umani aumenta le possibilità che a venire contagiati siano persone fragili o che già soffrono di altre patologie”.