Roma, 27 marzo 2024 – La carneficina della Crocus Concert hall serve, purtroppo, anche a fare comprendere, per l’ennesima volta, come funzioni la macchina della disinformazione russa. Con una nuova drammatica evoluzione. Se fino a ieri si cercava ‘solo’ di dare la colpa agli ucraini, adesso il presidente Putin alza la posta e, sulla pelle di oltre 140 vittime, fra cui diversi bambini, cerca di allargare le responsabilità (tutte da provare, ed è difficile) dell’attentato, tirando in mezzo anche gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Gli alfieri più convinti al fianco di Kiev, la cui alleanza sul tema è molto più difficile da spezzare rispetto a quella in Unione europea, dove si trova sempre l’Orban di turno pronto a farla saltare.
Se provassimo a prendere un foglio bianco e a fissare la dinamica degli eventi, tutto appare chiaro e consequenziale. Venerdì 22 marzo, un gruppo armato, non ancora identificato, fa irruzione all’interno di una delle sale da concerto più famose e capienti della capitale, per quanto a 16 chilometri dal centro. In circa un’ora, tanto ci vuole ai servizi segreti e alle forze speciali per essere operative sul posto, ammazza decine di persone e con pochi ordigni appicca un incendio di vaste proporzioni non solo nella sala da concerto, ma anche in uno dei centri commerciali più gran della capitale, fino a renderli, in poche ore uno scheletro di lamiera.
Poco dopo la notizia dell’attentato, lo speaker della Duma, Volodin e l’ex presidente, Medvedev, incolpano, senza alcuna evidenza, l’Ucraina. In seguito lo Stato islamico, attraverso i suoi canali ufficiali siriani, riconosce l’attacco e, il giorno dopo, pubblica anche filmati dell’attacco. Vengono arrestate 11 persone, molte sono dell’Asia centrale o dell’Afghanistan, particolare che riconduce nel primo caso a un difficile rapporto fra la Russia e l’ex spazio sovietico, nel secondo a un accordo stretto fra Mosca e i talebani di Kandahar, opposti all’Isis. Tutto torna, insomma, tranne che nella visione russa. E questo per un motivo ben preciso.
Da una parte, il presidente Putin deve giustificare oltre 140 morti, dall’altra non vuole perdere un’occasione così ghiotta di dare la colpa a Kiev e nel frattempo allargare il conflitto. E così, pur ammettendo la componente islamica dell’attentato, il capo del Cremlino non manca di sottolineare come quattro attentatori siano stati arrestati mentre cercavano si superare il confine ucraino. Peccato che quest’ultimo, da due anni, a questa parte non sia esattamente permeabile e che almeno due dei quattro arrestati arrivassero dalla Turchia e su questo Putin non apre bocca. Ma la teoria della disinformazione insegna che non si deve perdere nemmeno un’occasione per instillare il dubbio, nell’opinione pubblica interna, ma soprattutto estera, che le cose possano essere andate ‘come Mosca comanda’. A tutti i livelli, a partire dai fruitori dell’informazione quotidiana ad arrivare ai decision maker.
Per questo Putin sta puntando il dito contro Ucraina, Regno Unito e Stati Uniti. Per prima cosa spera di convincere l’opinione pubblica nazionale, talmente assuefatta alla propaganda a senso unico da essere insensibile a qualsiasi tentativo di disintossicazione. Ma, ben più importante, il messaggio del presidente è rivolto all’estero, a quei Paesi, in testa l’Italia, dove la macchina della disinformazione russa è particolarmente rodata. L’obiettivo è contagiare con la propria versione liberi cittadini, accademici più o meno orientati o compiacenti, creare movimenti dal basso, anche grazie e un uso indiscriminato dei social e a tanta maleducazione digitale che possano condizionare chi tiene le fila del potere e fare mancare il consenso a Kiev. Da Washington, come a qualsiasi capitale europea.