Martedì 5 Novembre 2024
COSIMO ROSSI
Esteri

Attentato a Trump, Alan Friedman: “Il declino degli Usa è iniziato con l’assalto a Capitol Hill. Nessuno ha saputo reagire"

Il giornalista newyorkese: fare male ormai è lecito, questa non è America. "Ma la normalizzazione di questa cultura ha origine proprio nella politica: nel 2021 Trump ha inneggiato all’insurrezione e adesso ne è rimasto vittima"

Alan Friedman, giornalista e analista politico newyorkese di stanza in Italia da alcuni decenni, l’attentato a Donald Trump ha sfiorato di pochi centimetri il rischio di innescare una guerra civile? Cosa dice dello stato della democrazia statunitense?

"L’America è un paese spaccato come non mai. Quel che stiamo accertando è che un numero crescente di americani approva l’utilizzo della violenza nel discorso pubblico. Recenti sondaggi rivelano che non solo un repubblicano su tre è favorevole al possesso di armi per tutti, ma giustifica l’uso della violenza nella campagna elettorale. Questo è il prodotto dell’ombra distopica che si è proiettata sul paese da quando, il 6 gennaio 2021, Trump ha inneggiato all’insurrezione. Oggi ci troviamo in un momento analogo".

Il giornalista e scrittore Alan Friedman è nato a New York 68 anni fa
Il giornalista e scrittore Alan Friedman è nato a New York 68 anni fa

Nel mirino, però, è finito lo stesso Trump…

"Il fatto è che l’incremento degli episodi di sangue, come le sparatorie sulla folla, si mescola con la ‘legittimazione’ e l’evocazione della violenza che Trump fa in ogni occasione. Ha portato violenza a un nuovo livello di ‘normalizzazione’. Quando nel 2017 una donna, Heather Heyer, venne investita e uccisa a Charlottesville da manifestanti neonazisti, il presidente disse che era colpa di entrambe le parti. Nell’assalto al Campidoglio del 2021 sono morte 5 persone. È la violenza che diventa parte della politica. Una grande tragedia".

Non è proprio una novità, data la lunga scia di attentati e omicidi nella storia americana. Qual è la differenza con l’oggi?

"È vero che quattro presidenti sono stati assassinati. Ma bisogna capire che Trump ha portato la violenza su un nuovo livello di normalità. È la dottrina del mondo Maga (acronimo di ‘Make America Great Again’, ndr.), di cui fanno parte anche la Corte suprema e i seguaci Trump. Un mondo in cui ci sono armi per tutti. E la più popolare è l’AR-15, il fucile semiautomatico usato per l’attentato. Questo non è l’America di una volta: è una nuova società in cui la violenza è normalizzata".

Da dove trae origine quest’America? L’11 settembre? La paura dei migranti?

"In America ci sono 340 milioni cittadini e 400 milioni di armi. Trump ha sposato la cultura delle armi alle tendenze di suprematisti, neonazisti, Ku Klux Klan. Sguinzagliando tutti e imbarcandoli in una concezione che si chiama Maga: che ha fatto strame delle componenti moderate e portato alla ribalta complottisti e violenti, che adesso dominano il partito repubblicano. Trump guadagnerà la scena della Convention (che si inaugura oggi, ndr.), interpretando al tempo stesso il ruolo di martire e di uomo forte pronto a reagire. Mentre alcune frange già alludono al complotto ad opera del presidente Joe Biden. Chi si frega le mani è Putin. Con Trump si rischia una sorta di ‘orbanizzazione’ degli Stati Uniti".

La messa in discussione della competitività di Biden ad opera delle stesse élite dem concorre paradossalmente a indebolire la democrazia americana?

"Finché i dem guarderanno al proprio interno per sostituire Biden, ci guardagna Trump. Le richieste di ritirarsi rivolte al presidente da parte della componente di Obama e Pelosi finiranno eclissate per qualche giorno dallo show di Trump alla Convention repubblicana, tra l’eco dell’attentato e la scelta del vice. Ciò evidenzia a maggior ragione quanto il conflitto interno in corso sta indebolendo il partito democratico".