Roma, 24 settembre 2024 – Dal bunker della base militare delle Nazioni Unite di Naqura, nell’estremo sud del Libano, e nel mezzo della battaglia tra Hezbollah e Israele, Andrea Tenenti, portavoce di Unifil – il contingente presente in Libano dal 2006 e del quale fanno parte anche mille soldati italiani – non nasconde la “grave preoccupazione per la sicurezza dei civili nel sud del Libano: questa situazione è la peggiore da 11 mesi, sono quasi 24 ore che siamo sotto bombardamenti. Il nostro contingente ha 10mila soldati da 49 Paesi diversi, schierati in basi attorno alla “blue line“, quindi nelle zone che vengono bombardate. Ovviamente noi non siamo il target dei bombardamenti, però il rischio c’è sempre”. Ma il rischio è soprattutto per i civili.
“Secondo quanto riportato dalle autorità libanesi – sottolinea Tenenti – centinaia di persone sono state uccise. Ricordo che gli attacchi contro i civili, tutti gli attacchi, israeliani ma anche di Hezbollah, non solo costituiscono violazioni del diritto internazionale, ma potrebbero anche configurarsi come crimini di guerra”. “Ogni ulteriore escalation – avverte – potrebbe avere conseguenze devastanti. Il generale Aroldo Lazaro, capo della missione e comandante di Unifil, è stato in contatto con entrambe le parti, libanese e israeliana, sottolineando l’urgenza di una de-escalation, anche se al momento non ci sono le condizioni, almeno la linea di comunicazione resta aperta. Sono in corso sforzi per ridurre le tensioni e fermare i bombardamenti, speriamo che l’Assemblea generale dell’Onu, in corso a New York, possa aiutare. Posso assicurare che entrambe le parti sanno benissimo che non ci sarebbero vincitori in un conflitto regionale”.
Certo è che la possibilità di un intervento di terra non è esclusa dagli israeliani, che però forse la usano soprattutto come strumento di pressione su Hezbollah e la considererebbero solo come estrama ratio, in quanto (visti i precedenti) estremamente costosa in termini militari ed economici e ardua in termini poltici.
“Dal punto di vista strettamente militare – osserva l’analista Maria Luisa Fantappiè del programma Medio Oriente dello Iai – è indubbio che siamo in una nuova fase del conflitto. Da un lato perchè le due parti hanno messo in atto una escalation delle azioni militari e non si limitano più ad attacchi nei pressi della frontiera. Ma fare una similitudine tra la situazione a Gaza e in Libano è fuori luogo. Una operazione di terra non è affatto semplice per Netanyahu, anche per la storia non felicissima delle ultime operazioni di terra israeliane in Libano, non è polticamente e militarmenente facile. Richiederebbe un prezzo pesante e famiglie degli ostaggi sicuramente lo accuserebbero di mettere a rischio la vita dei loro congiunti. Senza contare che una operazione su terra è per gli americani una “super linea rossa“ da non superare”.
“Quindi, considerando che Israele non potrà certamente invadere tutto il Libano e quindi tentare di estirpare Hezbollah come sta facendo con Hamas a Gaza – sostiene l’analista dell’istituto Affari Internazionali – l’operazione continuerà nel breve periodo grossomodo ai livelli attuali, con lanci di razzi da un lato e incursioni aeree e tiri di artiglieria dall’altro. Questo, contrariamente all’auspicio del governo Netanyahu, non porterà certo ad un ritorno degli sfollati israeliani in Galilea, anzi. Ma non credo si varcherà la linea rossa. Poi certo, dipenderà anche come andrà lo scambio di attacchi, che magari può portare ed effetti inattesi e alla fine determinare conseguenze che oggi Israele non credo voglia: nelle guerra spesso accadono cose non programmate. Ma all’invasione di terra già programmata, non credo”.