Giovedì 19 Dicembre 2024
ALDO BAQUIS
Esteri

Sei mesi fa l’orrore di Hamas. Israele rivive il trauma della Shoah. Lo Stato-fortezza è fragile e diviso

Il 7 ottobre scorso il più grande massacro di ebrei dalla fine della Seconda guerra mondiale: 1.170 morti. Centinaia di rapiti, 133 sono ancora nelle mani dei miliziani. Venerdì l’esercito ha trovato i resti di un ostaggio

Tel Aviv, 7 aprile 2024 – Dopo sei mesi di guerra, Gaza resta per Israele un incubo senza fine, che da allora torna con insistenza in ogni conversazione ed in ogni giornale radio. "La nostra unità scelta Egoz – informa la radio militare – ha compiuto venerdì un’incursione a Khan Yunis, nel sud della Striscia. Sulla base di precise informazioni di intelligence i nostri soldati hanno scavato per ore e hanno poi portato in Israele i resti di un ostaggio. In un istituto di medicina legale è stato accertato che si trattava di Elad Katzir, 47 anni, ucciso verso la metà di gennaio dai suoi rapitori della Jihad islamica". Era stato rapito dal kibbutz Nir Oz il 7 ottobre e tenuto prigioniero a pochi chilometri di distanza dalla sua casa.

Sei mesi dalla strage di Hamas del 7 ottobre
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Anche se l’esercito ha conquistato buona parte della Striscia e ha smantellato le postazioni militari che Hamas e la Jihad avevano incastrato in profondità sotto a strutture civili, lo stato d’animo degli israeliani è in questi giorni piuttosto di sgomento. Altri 133 ostaggi non hanno ancora fatto ritorno dalla prigionia a Gaza, Hamas non ha ancora alzato ‘bandiera bianca’ né sembra prossimo a farlo, la "vittoria totale" preannunciata da Benjamin Netanyahu non compare ancora all’orizzonte. In parallelo, lo Stato ebraico viene preso di mira ripetutamente da nemici in Libano, Siria, Iraq e Yemen, e sul piano diplomatico il suo isolamento cresce di mese in mese. I titoli dei giornali avvertono che si profila il pericolo di embargo di armi e di sanzioni. Agli israeliani che per Pasqua progettano di recarsi all’estero viene consigliato, per prudenza, di non esprimersi in ebraico ad alta voce.

L’attacco di Hamas del 7 ottobre (1170 morti, per lo più civili) è stato il peggiore massacro di ebrei dalla seconda guerra mondiale. Le testimonianze dei sopravvissuti – trovatisi per ore alla assoluta mercè dei loro assalitori, nelle proprie case – hanno fatto riaffiorare anche traumi della Shoah. Nelle espressioni artistiche figurative più recenti non è raro trovare accostamenti fra immagini di un passato che si riteneva archiviato per sempre e quelle di sei mesi fa.

Nelle strade e sui media infuria il dibattito politico. Da destra si lanciano accuse roventi ai responsabili dell’esercito e dell’intelligence che per anni si erano persuasi che Hamas fosse intimidito dal potenziale bellico di Israele e che le sue minacce di scatenare una potente offensiva fossero solo retorica islamica martellata a fini interni. Già nel settembre 2021, in un convegno pubblico a Gaza, Hamas aveva preannunciato l’intenzione di "liberare la intera Palestina". Come mai – si chiede da destra – l’intelligence non aveva preso in considerazione quel pericolo, né aveva descritto a Netanyahu l’estensione della rete di tunnel e di bunker di Hamas, stimata ora in 700 chilometri?

Il mito del super-efficiente esercito israeliano viene messo in questione e da destra si invoca il licenziamento di quanti il 7 ottobre erano responsabili alla difesa. Le immagini di 100mila israeliani che non possono rientrare nelle abitazioni del Negev e della Galilea, perché esposti al fuoco nemico, rafforzano un senso diffuso di insicurezza.

Da sinistra si lanciano accuse non meno laceranti a Netanyahu, per aver puntato la propria politica dal 2007 (quando cioè Hamas espugnò il potere a Gaza con un putsch cruento contro Abu Mazen) sulla frammentazione dei palestinesi fra Cisgiordania (al-Fatah) e Gaza (Hamas). Ciò per congelare ogni iniziativa volta alla realizzazione della formula dei Due Stati. Netanyahu aveva creduto che la normalizzazione dei rapporti con alcuni Paesi arabi potesse procedere anche senza il coinvolgimento dei palestinesi. Da sinistra si invoca dunque la rimozione di Netanyahu e lo svolgimento di nuove elezioni. L’offensiva di Hamas ha incrinato molte certezze nella leadership politico-militare di Israele, costringendola a compiere un doloroso processo di autocritica mentre l’esercito, che da settimane ha molto ridotto le operazioni a Gaza, attende di conoscere dal governo quali siano gli obiettivi politici di lungo termine.