Lunedì 23 Dicembre 2024
Alessandro Farruggia
Esteri

Attacco a Mosca, la vendetta di Putin in due mosse. Lo zar come un lupo della steppa

Il presidente russo sa che anche una sconfitta può trasformarsi in un’opportunità. E dal discorso alla nazione già si delinea il piano per sfruttare la strage

Mosca, 23 marzo 2024 – Non ce ne era bisogno, le presidenziali erano andate splendidamente per lui confermando il suo controllo sul paese. E anche la guerra in Ucraina, con tutti i suoi lutti, e sue distruzioni e i suoi costi economici e politici, non sta andando affatto male per un autocrate che considera ogni sacrificio plausibile, sebbene gli obiettivi iniziali siano stati clamorosamente mancati.

Ma Putin è un lupo della steppa e sa cogliere ogni opportunità per il suo branco. Anche una sconfitta, un duro colpo,

può essere usato pro domo sua.

Attacco a  Mosca, quel che resta del Crocus andato a fuoco (Ansa)
Attacco a Mosca, quel che resta del Crocus andato a fuoco (Ansa)

E così è stato anche questa volta. Nel suo discorso alla nazione - un discorso freddo, controllato - ha confermato che la strage di Mosca è attribuibile al terrorismo internazionale, in primis, sebbene non lo abbia nominato ad Isis Khorasan e nella lotta al terrorismo internazionale ha chiesto la solidarietà internazionale. Giusto. Peccato che Putin abbia rilanciato la tesi fatta circolare stamani dall’Fsb che i terroristi islamici autori della strage (“terroristi a contratto” a quanto pare, il che è piuttosto inusuale e sospetto) “hanno cercato di fuggire e si sono spostati verso l'Ucraina, dove è stata preparata una finestra per loro dal lato ucraino perché attraversassero il confine di Stato”.

La teoria della “manina” ucraina che aiuta i terroristi islamici a colpire. La tesi non è credibile, perché l’Ucraina non ha alcun interesse a incoraggiare attacchi terroristici contro la popolazione civile, la presunta “finestra” ucraina non spiega come i terroristi sarebbero riusciti ad eludere il controllo delle truppe russe alla frontiera e il fatto che il commando sia stato intercettato a Bryansk, non lontano dalla frontiera russo-ucraina, non significa molto perché Bryansk è anche vicino alla frontiera bielorussa ed è possibile che li volessero recarsi.

Interessante in questo senso la dichiarazione dell’ambasciatore bielorusso a Mosca all’agenzia di stampa Belta (l’agenzia ufficiale bielorussa) secondo il quale “da ieri i servizi speciali dei due paesi cooperavano con l’obiettivi di essere sicuri che i terroristi non potessero fuggire attraverso il confine tra i nostri due Stati. Misure di massima sicurezza sono state messe in atto e ha funzionato”. Già. Questo detto sulla presunta responsabilità ucraina - non ci sono prove di alcun tipo e non avrebbe senso - resta il fatto che Putin la avvalora scientemente, anche se non apertamente, per scaricare la responsabilità di quanto successo su due entità esterne, il terrorismo internazionale e l’Ucraina che in qualche modo lo copre, e per utilizzare l’attacco terroristico per una duplice azione.

Primo, rafforzare ulteriormente le misure di sicurezza contro la popolazione islamica russa, specialmente quella che vive nella Russia “europea” o degli immigrati provenienti dalle ex repubbliche sovietiche del centro Asia. Secondo, procedere a una nuova mobilitazione parziale per dare vita entro tre-quattro mesi a una nuova massiccia offensiva in Ucraina che gli garantisca prima della fine dell’anno il controllo completo di Lugask e soprattutto del Donetsk, ovvero dell’intero Donbass.

Dopodiché, sperando nella vittoria di Donand Trump alle elezioni americane, potrà decidere una tregua unilaterale, una soluzione “alla coreana” , che cristallizzi la situazione in Ucraina senza un vero accordo di pace e che Trump probabilmente avvallerebbe, nonostante Kiev.

Non è certo la vittoria totale che voleva, ma sarebbe comunque un risultato accettabile per lo Zar, da rivendere come grande successo con la poderosa macchina propagandistica che controlla. Perché la verità è che in ogni problema Putin sa spregiudicatamente trovare una opportunità per continuare a rafforzare il suo potere. Dopotutto è stato per 16 anni al KGB e poi è stato direttore dell’FSB. Anche senza speculare sulle teorie del complotto - dell’attacco terroristico “permesso” per poi usarlo per la repressione - che allo stato non hanno riscontri, il pelo sullo stomaco non gli manca di certo. E gli farà comodo.