L’uomo che in Libano con il suo staff di agenti segreti sventò l’11 settembre italiano previsto con un attacco esplosivo alla nostra ambasciata ha le idee molto chiare su come Israele è riuscito a portare a termine l’operazione dei cercapersone e dei walkie-talkie esplosivi.
Marco Mancini, già capo del controspionaggio italiano, il duplice attacco ha ottenuto il risultato previsto o è un atto dimostrativo?
“Dal punto di vista dell’intelligence israeliana è un grande risultato con obiettivi precisi nel mirino. Gli atti dimostrativi sono già iniziati da tempo, basta rileggere la cronaca recente”.
Quanto pesa la tecnologia in questo caso?
“Questa è una sofisticata azione di intelligence che ha sfruttato la tecnologia cyber. Il Mossad ha utilizzato la Humint, Human intelligence, cioè la raccolta di informazioni sul campo e l’azione di agenti infiltrati”.
L’obiettivo era seminare il panico?
“Il target principale, ma non il solo, era certamente l’ambasciatore iraniano a Beirut, considerato una spia, ma anche i vertici e le migliaia di affiliati a Hezbollah. Con il messaggio che Israele può colpire ovunque”.
Come è possibile aver manomesso tanti dispositivi?
“I cercapersone marchio Gold Apollo sono stati prodotti da un’azienda europea autorizzata alla produzione da un gruppo di Taiwan, poi sono stati perfezionati in Iran dove sono stati manomessi da infiltrati nella catena di produzione. Tutta la logistica utilizzata da Hezbollah passa da Teheran”.
Ieri sono esplose anche le ricetrasmittenti con altri morti.
“Fa tutto parte dello stesso piano. In questo caso si tratta di 500 apparecchi Icom 82 criptati sempre provenienti dall’Iran, che ha prodotto anche i codici segreti, distribuiti soprattutto ai leader e alla nomenclatura delle tre brigate di Hezbollah, denominate Badr, Nasr e Aziz. I tre capi sono rimasti gravemente feriti. È un altro tassello della guerra scatenata dal Mossad”.
Possibile che in Iran agiscano fiancheggiatori dell’intelligence israeliana?
“Sì, e sono anche pagati molto bene. L’intelligence di Tel Aviv sfrutta il malcontento presente nella società iraniana dove i capi religiosi fanno massacrare i dissidenti e reprimono la libertà femminile. Israele è in grado di attivare un network spionistico a proprio favore”.
È il riscatto del flop del 7 ottobre.
“Dopo il clamoroso attacco da Gaza gli israeliani si sono accorti che devono appoggiarsi meno alla tecnologia cyber pure importante, e sfruttare meglio il capitale umano con fonti sul terreno e infiltrati. Lo ha ribadito la scorsa settimana a Roma il vice del Mossad”.
Gli Usa dicono di non essere coinvolti in queste operazioni.
“È certamente così, ma sono sempre al corrente di qualsiasi mossa in funzione anti-Iran”.
Israele colpirà ancora?
“È possibile. Attraverso la Humint hanno rinforzato la dottrina Golda Meir che dopo l’attentato di Monaco del 1972 istituì un reparto speciale addestrato a colpire i terroristi ovunque. Così è successo nei casi recenti compresa la neutralizzazione del numero due di Hezbollah a sud di Beirut”.
Anche qui infiltrati?
“Certo. Fuad Shukr si trovava al secondo piano di un palazzo, in un punto difficile da colpire. Un collaboratore, o presunto tale, lo chiamò al telefono chiedendogli di salire al settimo. E lì fu fulminato da un drone. Senza appoggi sul campo un’operazione del genere non sarebbe possibile”.