Roma, 15 ottobre 2024 – Il nodo Libano cancella anche l’aplomb della diplomazia. I ministri degli Esteri del tridente Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna in coro esprimono in “preoccupazione per gli attacchi da parte dell’Idf alle basi Unifil che hanno ferito diversi peacekeeper. Devono cessare immediatamente. Condanniamo ogni minaccia alla sicurezza dell’Unifil. Qualunque attacco deliberato contro la missione in Libano viola il diritto umanitario internazionale e la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite”.
Ferdinando Nelli Feroci, già ambasciatore e ora presidente dell’Istituto affari internazionali, cosa possono fare le Nazioni Unite per sbloccare la situazione in Libano?
“Nell’immediato possono fare ben poco. I caschi blu hanno le mani legate da regole d’ingaggio molto limitate alle quali devono sottostare”.
Si possono cambiare?
“Non è possibile farlo in tempi brevi con un conflitto in corso. Significherebbe avviare un negoziato lungo e complesso attraverso il Consiglio di sicurezza dell’Onu. Credo che alcuni Paesi, tra l’altro, si opporrebbero”.
E come ne usciamo?
“La strada più veloce potrebbe essere un accordo da negoziare tra il Comando Unifil che è sul campo e le forze armate israeliane”.
Quanto è possibile una simile svolta?
“Difficile dirlo, ora siamo in una situazione di stallo estremamente pericolosa”.
Il premier Netanyahu insiste sul ritiro dei militari dell’Onu.
“Non è praticabile. Come è stato detto non può essere il governo israeliano a disporre dell’operatività del contingente. Anche qui serve una decisione del Consiglio di sicurezza Onu”.
I militari delle Nazioni Unite possono rispondere al fuoco?
“Solo se direttamente e deliberatamente attaccati. Ma la ritengo una possibilità remota. E se anche fosse sono dotati di armi leggere con una sproprozione offensiva enorme rispetto ai militari di Tel Aviv”.
Gli Usa sono in grado di fermare Israele anche nei raid che fanno vittime civili?
“Teoricamente sì perché sono gli alleati principali di Tel Aviv. Ci stanno provando con appelli e diplomazia da mesi a Gaza e ora in Libano. Ma si scontrano con l’ostinazione del premier Benjamin Netanyahu”.
Potrebbero usare le maniere forti con lo stop alla fornitura di armi.
“È vero, ma non adotteranno mai questo strumento. Anzi stanno mandando i consiglieri militari in Israele per condividere le operazioni sul terreno”.
Serve pressione anche da altri Paesi mediorientali?
“Sì e no. Israele fa il lavoro sporco anche per alcuni Paesi arabi a prevalenza sunnita che hanno interesse a vedere neutralizzati Hamas e Hezbollah”.
L’Europa può avere un ruolo nella mitigazione dei conflitti?
“Non può fare nulla, sullo scenario del Medio Oriente brilla per assenza. Inoltre è divisa su quasi tutto. Ci sono Paesi che appoggiano Israele e altri che riconoscono lo Stato di Palestina”.
Può fare pressioni nel Palazzo di vetro?
“Anche qui gli europei hanno posizioni diverse e inconciliabili in seno al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Spesso sono divisi al momento del voto”.
Quanto durerà il conflitto in Libano?
“Difficile fare previsioni, ma non sarà breve. Israele non si fermerà fino a che non avrà smantellato Hezbollah che è ancora forte sul piano militare”.
Come è possibile che tunnel e depositi di armi siano stati installati vicino alle basi Unifil?
“Torniamo alle regole d’ingaggio insufficienti. È clamoroso. Però è altrettanto clamoroso che Israele non abbia avvertito in precedenza i caschi blu. L’Idf conosceva da tempo la situazione”.