Roma, 17 dicembre 2024 – A otto giorni dalla sua fuga, l’ormai ex presidente siriano, Bashar al-Assad ha preso la parola per la prima volta, seppur sotto forma di dichiarazione postata sul canale Telegram della presidenza della Repubblica. Non è ancora chiaro se il contenuto sia davvero stato scritto dal presidente o meno. Nessuno sa con certezza da chi sia gestito ora quel canale. Di sicuro, con queste sue prime parole, Assad ha cercato di difendersi da chi lo accusa di essere scappato. "A nessun punto di questi eventi – si legge su Telegram – ho mai preso in considerazione di fare un passo indietro o cercare di fuggire e nessuna proposta in questo senso è mai stata fatta da un singolo o da un individuo o partito. L’unica linea di condotta era continuare a combattere contro l’attacco dei terroristi".
Secondo la sua versione, l’ex numero uno di Damasco si trovava nella base russa di Latakia, solo per ‘sovrintendere le operazioni di combattimento’. Solo quando, la mattina dell’8 dicembre, anche la base di Hmeimim ha iniziato a essere oggetto di ‘attacchi intensivi condotti da droni’ allora le autorità russe hanno deciso di trasferirlo a Mosca. "Quando uno Stato cade nelle mani dei terroristi – si legge ancora nel comunicato – e la possibilità di dare un contributo carico di significato è persa, ogni carica diventa priva di scopo, rendendo la sua occupazione priva di significato". Insomma, prima non voleva andare via, poi lo hanno portato via quasi a forza e infine ha fatto bene ad andare via perché così i terroristi non l’hanno avuta vinta.
Nel frattempo, la Siria si prepara al nuovo corso, con tutte le incognite del caso. La Russia lotta per mantenere il controllo delle basi, che le garantiscono una ‘finestra’ sul Mediterraneo dal valore strategico altissimo. Ma sulla strada verso Damasco, il Cremlino deve fare i conti con la nuova ministra degli Esteri europea, Kaja Kallas. L’ex premier estone, ha detto chiaramente che vuole Iran e Russia fuori dalla Siria. E mentre prepara una prima missione diplomatica per prendere contatti con la nuova leadership, Kallas avvisa: "Oltre alle parole, vogliamo vedere i fatti". Fatti che, però, per il momento non depongono esattamente bene. Nel Paese continuano a rincorrersi notizie (e video) di esecuzioni di alawiti vicini al regime e cristiani, uccisi dalla galassia di gruppi jihadisti che compongono l’Hts, la coalizione jihadista che in 11 giorni è riuscita a fare cadere il regime.
Il Cairo lancia l’allarme: il vuoto di potere in Siria rischia di lasciare il posto a realtà terroristiche. Israele, dal canto suo, continua i bombardamenti sul territorio siriano e se prima nel mirino c’erano solo le armi chimiche di Assad, adesso è la volta anche delle fabbriche di Captagon, la micidiale droga sintetica le cui produzione e commercio erano sotto il controllo del fratello del dittatore e il cui business vale svariati milioni di dollari.