Roma, 26 gennaio 2025 – C’era una volta la Via della seta polare, Polar silk road. Poi congelata. Ma restano le ambizioni della Cina sull’Artico, scenario sempre più affollato. Cosa dobbiamo aspettarci oggi, soprattutto dopo le ultime dichiarazioni del presidente Usa Donald Trump, che ambisce a comprare la Groenlandia?
Lo abbiamo chiesto a Marco Di Liddo, direttore del CESI, Centro studi internazionali. Ricorda che la stessa Cina “aveva provato ad espandersi in Groenlandia fino a qualche anno fa, cercando di acquisire quote di una società australiana e poi con un tentativo di vincere una gara da appalto per gli aeroporti. Ma poi si è ritirata”.
Che cos’è la Via della seta polare
Dottor Di Liddo, partiamo dal progetto che risulta ufficialmente fermo. Che cosa s’intende per Via della seta polare? “Si definisce con questa espressione una diramazione della più famosa Via della seta, cioè di quel mega progetto che la Cina aveva lanciato nel 2013 e che coinvolgeva la creazione di questa enorme struttura di porti e infrastrutture energetiche, commerciali e ferroviarie che dovevano mettere in comunicazione il mercato cinese con quello euroasiatici. La ‘sezione polare’ ufficialmente trova la sua prima definizione in un documento cinese soltanto nel 2021, quando è stato annunciato il piano quinquennale. Poche righe che riguardavano la governance dell’Artico. Il progetto è stato sostanzialmente congelato dopo l’invasione della Russia all’Ucraina. Perché a causa delle sanzioni internazionali a Putin, non è più conveniente per la Cina finanziare quelle infrastrutture”.
Gli obiettivi della Via della seta polare
La Via della seta polare voleva “agevolare il transito di merci e rendere più facile, più veloce e più conveniente l’espansione commerciale cinese. La Cina ha due esigenze prioritarie, vendere i propri prodotti nei mercati di destinazione e assicurarsi un rifornimento di materie prime critiche e di energia che consenta all’industria di lavorare bene, con tariffe convenienti. La branca polare partendo da Rotterdam doveva seguire la rotta del Mare del Nord, lambire le coste russe e approdare nei porti della Cina settentrionale”.
Perché la Via della seta polare è stata congelata
La Cina, ribadisce l’esperto, “vuole essere un attore artico, promuovendo una governance diversa rispetto ai paesi rivieraschi che rivendicano ognuno una parte della piattaforma continentale per avere accesso alle risorse, materie prime critiche, gas, petrolio ma anche cibo come pesce. Gli altri invece non vogliono che l’Artico sia spartito sulla base della legge internazionale perché dicono che è un patrimonio dell’umanità e non può essere trattato come altri mari. Quindi la spinta è quella di promuovere una governance dell’Artico che sia multilaterale e la gestione delle risorse deve avvenire in maniera concertata, non sulla base di pretese individuali. Su questo c’è un contrasto con gli Stati Uniti, che con l’Alaska sono un paese artico e ambiscono a comprare la Groenlandia come ha appena dichiarato Trump”.
Cosa sta facendo la Cina nell’Artico
“In questo momento - chiarisce il direttore Di Liddo - la Cina nell’Artico è impegnata soprattutto in missioni scientifiche e diplomazia culturale. Missioni scientifiche tra virgolette, nel senso che molte volte nascondono anche esigenze di sicurezza. Così con le navi oceanografiche esploro il fondo dei mari per acquisire dati, informazioni da usare come strumenti utili a capire come si muove il mio avversario. Per studiare le sue infrastrutture, magari i movimenti delle sue navi, o cercare di ascoltare comunicazioni che non andrebbero ascoltate”.
Che effetto avranno le dichiarazioni di Trump
Ma che effetto avranno le dichiarazioni di Trump? “Credo che il presidente Usa sia tutto fuorché un amante del multilateralismo, non penso che la sua sia una provocazione. Mi sembra intimamente convinto di esplorare la possibilità di rendere la Groenlandia un territorio statunitense anche perché l’esigenza di acquisire le ricchezze minerarie della Groenlandia è concreta. Gli Stati Uniti sono importatori netti di minerali critici, soprattutto dalla Cina, e hanno bisogno di alleggerire questa dipendenza che è una vulnerabilità strategica. In sintesi, “la scena dell’Artico è molto affollata e lo sarà ancora di più. Credo che questo porterà ulteriore competizione”.