Bombardamenti serrati contro obiettivi degli Hezbollah nel centro di Beirut e nutriti lanci di razzi dal Libano su Haifa e sul nord di Israele. In questo clima di guerra è stato dato finalmente l’annuncio di una tregua in Libano, della durata iniziale di due mesi, e destinata ad entrare in vigore sul terreno oggi, una volta approvata dai rispettivi governi in Israele e in Libano. Nessuna delle due parti canta vittoria.
Hezbollah, che 13 mesi fa ha aperto le ostilità in aperto sostegno verso Hamas dopo gli orrori del 7 ottobre, deve adesso spiegare ai cittadini libanesi per quale motivo – dopo aver trascinato il proprio Paese in un conflitto disastroso, con forti perdite umane ed immensi danni economici – abbia adesso deciso di farsi da parte e di abbandonare i palestinesi al loro destino. Hamas, adesso, si sente tradito. E Netanyahu, che due mesi fa aveva ordinato l’ingresso di due divisioni nel Libano meridionale per distruggere la rete di bunker e le infrastrutture militari offensive degli Hezbollah, deve oggi ammettere che ancora non è possibile garantire il ritorno "in condizioni di sicurezza" di circa 100mila israeliani che vivevano lungo il confine e che sono stati costretti a sfollare. Netanyahu deve inoltre spiegare al Paese come mai cerchi ancora a Gaza "una vittoria totale" su Hamas mentre in Libano si accontenti di una tregua malsicura, nella speranza che resista fino al 20 gennaio quando Donald Trump entrerà in carica.
In un discorso alla nazione il premier ha affermato di aver deciso di sostenere la tregua per tre considerazioni di carattere generale: la necessità di concentrare l’attenzione sulla neutralizzazione della "minaccia iraniana"; l’opportunità di offrire una pausa di respiro alle forze armate e di rimuovere un embargo alle forniture militari; e l’opportunità di isolare Hamas. In questi mesi, ha ribadito, Israele "ha assestato duri colpi agli Hezbollah, che sono tornati indietro di decine di anni". Ma se infrangeranno gli accordi, ha minacciato, Israele tornerà a colpirli. "In Libano avremo piena libertà di azione". Da parte loro gli Hezbollah hanno ammesso di essere stati costretti, dopo l’uccisione del loro leader Hassan Nasrallah e dei loro vertici militari, ad accettare "una pausa tattica".
Secondo gli accordi messi a punto dall’emissario Usa Amos Hochstein la zona compresa fra il confine con Israele ed il fiume Litani sarà presidiata esclusivamente dall’esercito nazionale libanese e dai Caschi Blu dell’Unifil. Ma gli Hezbollah ritengono di essere riusciti a mantenere almeno due carte di deterrenza verso Israele, se in futuro lanciasse nuovi attacchi: i missili di media e lunga e gittata (che sono ancora custoditi nel Libano centrale) ed il sostegno della popolazione sciita nel Libano sud all’interno della quale, presumono, avranno anche in futuro un margine di libertà di manovra, malgrado la presenza dell’esercito libanese.
Per Netanyahu è auspicabile che la tregua in Libano possa smuovere anche le trattative per una tregua a Gaza e per la liberazione, almeno parziale e graduale, degli ostaggi. Ma ieri il ministro delle finanze Bezalel Smotrich, leader del partito di estrema destra ‘Sionismo religioso’, ha rivelato che punta invece ad una presenza permanente dell’esercito nella Striscia di Gaza. "È possibile conquistarla – ha detto ai leader dei coloni. Dobbiamo incoraggiare l’emigrazione volontaria dei palestinesi, grazie anche all’imminente ingresso di Trump sulla ribalta.