Brasilia, 24 agosto 2019 - Brucia l’Amazzonia, ma in queste ore oltre alla maggiore foresta del mondo è il governo di Jair Bolsonaro che rischia di finire in falò: il presidente brasiliano ha prima negato l’importanza degli almeno 73mila focolai che stanno distruggendo il polmone verde dell’umanità; poi, per rispondere a chi lo accusava di essere responsabile degli incendi con le sue leggi per la deforestazione e lo sfruttamento del territorio, ha dato la colpa alle ong che lavorano a fianco degli indigeni; infine, di fronte agli attacchi venuti da molti Stati di essere mandante di un "crimine ambientale" e di avere "mentito nel suo impegno sulla difesa del clima come promesso a Osaka al G20", ha deciso di mandare l’esercito a spegnere il fuoco.
Alla base della giravolta c’è la pressione che, a partire dal presidente francese Emmanuel Macron, stanno facendo molti Paesi preoccupati che sia distrutto l’ambiente che fornisce il 20% di tutto l’ossigeno che respiriamo. Una pressione che mette in discussione il rispetto da parte dell’Ue dell’accordo sul Mercosur del 20 giugno nel quale si regolamentano i rapporti commerciali con il Brasile e i Paesi vicini. Uno dei capitoli più controversi è quello del mercato bovino: la deforestazione dell’Amazzonia ha aumentato gli allevamenti e abbassato il prezzo della carne vista la grande offerta. "Dobbiamo – ha detto la ministra finlandese delle Finanze, Mika Lintila – proporre un piano Ue con cui boicottare i prodotti brasiliani". Subito le ha fatto eco il primo ministro irlandese, Leo Varadkar, preoccupato anche dell’effetto Brexit sui propri allevatori. Dietro gli attacchi climatici di Macron si sono invece subito schierati il canadese Justin Trudeau e la cancelleria Angela Merkel, disposta a parlarne al G7 di Biarritz, "perché l’Amazzonia è patrimonio di tutti noi, non solo di Bolsonaro". Criticando così quanto detto dal presidente brasiliano alla sua investitura: "L’Amazzonia è nostra e ne facciamo quel che vogliamo". Ma chi dà fuoco a questi 5,5 milioni di chilometri quadrati determinanti per l’ambiente? Sono in gran parte quelli che traggono vantaggi economici: meno alberi, più allevamenti e più miniere, più risorse, alla faccia degli indigeni costretti a ritirarsi in riserve ancora più limitate. Bolsonaro ha ridotto le aree protette e ha aumentato le concessioni di sfruttamento minerario che – dopo lo stop imposto dai governi di Lula e Dilma Rousseff – già il predecessore Michel Temer aveva liberalizzato: petrolio, tungsteno, uranio, ma soprattutto oro presenti in quantità inimmaginabili.
I campi di coltivazione necessitano di spazi, sottratti alla foresta, per attrezzature e maestranze. Nell’ultimo anno non solo gli incendi sono aumentati dell’83%, ma la deforestazione in generale – considerando anche la qualità del legno – dal luglio 2018 a oggi è aumentata del 278%. In tutto questo il governo fa quadrato intorno al suo leader. "La campagna internazionale per l’Amazzonia così feroce e ingiusta nei nostri confronti esiste solo – spiega il ministro degli Esteri, Ernesto Araujo – perché Bolsonaro sta facendo resuscitare il Brasile. La presunta ‘crisi ambientale’ è l’ultima arma che resta nell’arsenale delle bugie della sinistra per nascondere i nostri successi".