Roma, 26 gennaio 2025 - Nel carcere di Mittiga (Tripoli), diretto da Osama Njeem Almasri, dal febbraio 2015 sono stati uccisi almeno 34 detenuti e 22 persone, compreso un bimbo di 5 anni, hanno subito violenze sessuali dalle guardie. E' quanto si legge nel dispositivo della pre-trial Chamber della Corte penale internazionale che lo scorso 18 gennaio ha notificato - a maggioranza - il mandato di arresto per il generale libico bloccato in Italia il 19 e poi scarcerato. Njeem, secondo i giudici dell'Aja, "ha picchiato, torturato, sparato, aggredito sessualmente e ucciso personalmente detenuti, nonché ha ordinato alle guardie di picchiarli e torturarli".
Il caso Almasri è una delle spine del governo dopo la liberazione del generale lo scorso 21 gennaio. Oggi l’attacco dell’Anm per rispondere a quanto affermato sabato dalla premier Meloni da Gedda. Intervenendo sulla vicenda dell'uomo fermato a Torino il 19 gennaio, in esecuzione di un mandato della Corte penale internazionale e poi scarcerato dalla Corte d'Appello di Roma due giorni dopo, la presidente del Consiglio ha affermato che la liberazione "non è stata una scelta dell'esecutivo ma è avvenuta su disposizione della magistratura". Il comandate è stato poi espulso dal territorio italiano perché "soggetto pericoloso".
il sindacato delle toghe va però all’attacco: la giunta esecutiva centrale dell'Anm afferma infatti che il ministro Nordo "avrebbe potuto - perché notiziato dalla polizia giudiziaria il 19 gennaio e dalla Corte d'appello di Roma il 20 gennaio - e dovuto, per rispetto degli obblighi internazionali, chiederne la custodia cautelare in vista della consegna alla Corte penale internazionale che aveva spiccato, nei suoi confronti, mandato di cattura per crimini contro l'umanità e crimini di guerra commessi nella prigione di Mittiga (Libia)". Per l'Anm la scelta su Almasri è, quindi, "politica" e assunta nel "nel silenzio del Guardasigilli, il solo deputato a domandare all'autorità giudiziaria una misura coercitiva".
Mercoledì, intanto, il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, tornerà alla Camera per una informativa sulla vicenda. Il numero uno del Viminale il 23 gennaio, nel corso di un question time al Senato, ha affermato che "il rimpatrio di Almasri" è avvenuto per "urgenti ragioni di sicurezza" dopo un provvedimento di espulsione.
La decisione dell'Italia ha scatenato le proteste della Corte penale internazionale (Cpi) che lamenta di non essere stata consultata prima della scarcerazione.
Nei confronti del generale il mandato di arresto è stato spiccato il 18 gennaio con voto a maggioranza. Il provvedimento è scattato dodici giorni dopo l'inizio del viaggio di Almasri in Europa. Il cittadino libico prima di essere fermato ha trascorso, infatti, alcuni giorni nel Regno Unito, Belgio e Germania superando i controlli. Poi domenica 19 gennaio Almasri, da poco arrivato a Torino, è stato bloccato e messo in carcere dalla polizia italiana. La scarcerazione è arrivata 48 ore dopo su disposizione della Corte d'Appello a causa di un errore procedurale. Per i giudici si è trattato di un arresto irrituale perché la Corte penale internazionale non aveva in precedenza trasmesso gli atti al ministro della Giustizia.
ieri la premier, davanti alla "richiesta di spiegazioni" della Corte Penale Internazionale, è passata al contrattacco. "La Corte - ha tuonato - deve chiarire perché ci ha messo mesi a spiccare questo mandato di arresto quando Almasri aveva attraversato almeno tre Paesi europei. Su questo spero che tutte le forze politiche vogliano darci una mano".