Roma, 16 aprile 2024 – “La guerra di Gaza è già un conflitto regionale; la coalizione che ha difeso Israele dall’attacco iraniano lo dimostra". È la tesi di Aldo Liga, ricercatore dell’Osservatorio Medio Oriente e Nord Africa dell’Istituto per gli Studi di politica internazionale.
L’Iran minaccia Israele: “Pronti ad usare un’arma mai usata prima”
Liga, abbiamo assistito a una svolta nella geopolitica mediorientale?
"È sicuramente un segnale interessante. Secondo le informazioni ufficiali si sono schierati con Israele gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia e anche la Giordania, che per questo ha ricevuto minacce dall’Iran. Indiscrezioni parlano di un coinvolgimento di alcuni Paesi del Golfo per limitare la portata dell’attacco di Teheran, però non ci sono conferme dell’esistenza di una coalizione".
Qualcuno, però, ne fa anche il nome: Middle East Air Defence. Di cosa si tratta?
"Non abbiamo informazioni precise. Si può ipotizzare che negli ultimi anni sia stato messo in piedi un coordinamento soprattutto in materia di intelligence, industria militare e difesa aerea. Nel 2022, peraltro, gli Stati Uniti hanno spostato la gestione dei rapporti militari con Israele dal Comando europeo al Comando centrale (Centcom, ndr ) che include altri Paesi del Medio Oriente, rendendo possibile una collaborazione più stretta".
Il ministro della Difesa israeliano Gallant parla senza mezzi termini di coalizione. Si può dire che la Mead sia una sorta di Nato del Medio Oriente?
"È un paragone che ci spinge un po’ oltre rispetto allo stato delle cose. La Nato è un’organizzazione internazionale che nasce da un trattato con un obiettivo preciso".
L’Alleanza Atlantica fu costituita in funzione anti-sovietica, la Mead sarebbe stata aggregata contro l’Iran.
"La competizione tra Arabia Saudita e Iran era in atto fino all’accordo dell’anno scorso, mediato anche da Pechino, ed è realistico che continui sottotraccia. Ma immaginare la creazione di una Nato anti-Teheran è prematuro. Di certo alcuni attori della regione come Giordania e i Paesi del Golfo hanno interesse a mantenere lo status quo per interessi politici ed economici, quindi fanno il possibile per evitare lo scontro diretto tra Israele e Iran".
Poniamo che questa alleanza politico-militare esista di fatto. Quale sarebbe il Paese leader?
"Nessuno. Ognuno ha i suoi interessi e gioca la sua partita. Ma il regista dell’avvicinamento di Israele ai Paesi arabi moderati è senz’altro Washington, che ha promosso la sottoscrizione degli Accordi di Abramo".
Questa coalizione sarebbe in grado di fronteggiare un attacco dell’Iran più corposo di quello di sabato sera?
"Una cosa è mettere a disposizione i radar o l’intelligence, un’altra mobilitare l’esercito. Sicuramente Israele ha bisogno dell’aiuto degli Stati Uniti e di altri Paesi della regione nonostante abbia a disposizione tecnologie militari avanzate".
Al fianco di Israele si schierano i Paesi arabi a maggioranza sunnita. Tolta la cortina ideologico-religiosa cosa resta?
"La rivalità con l’Iran a maggioranza sciita ha strutturato la geopolitica dell’area per decenni, poiché alcuni Stati vedono la loro influenza nella regione minacciata dal successo di Teheran. Ma oltre al calcolo politico contano gli interessi economici. Ad esempio al termine del G20 del settembre scorso è stata annunciata la creazione di un corridoio commerciale che collega India, Paesi del Golfo, Israele ed Europa".
Nella seconda metà del Novecento Egitto e Giordania facevano la guerra contro Israele. Cosa è cambiato nel frattempo?
"Gli Stati Uniti hanno favorito la normalizzazione dei rapporti tra lo Stato ebraico e i Paesi vicini. La guerra di Gaza ha congelato l’avvicinamento di Riad a Tel Aviv. Se i sauditi avessero davvero partecipato alla difesa di Israele dall’attacco iraniano, sarebbe un segnale interessante".
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