Lunedì 23 Dicembre 2024
ALESSANDRO FARRUGGIA
Esteri

Al-Sisi sempre più Faraone d'Egitto. Ma il futuro è in mano ai militari

Ha conquistato il 97% dei voti, meglio del 96,9% del 2014. Ma è un trono solido e fragile, perchè è basato sulla repressione e la negazione dei diriti umani ed è sempre più legato al sostegno delle Forze Armate

I sostenitori di al-Sisi festeggiano in piazza (Ansa)

Il Cairo, 2 aprile 2018 - Il Faraone è ora più che mai sul trono. Alle elezioni presidenziali egiziane ha conquistato 21.835.387 voti, pari al 97%: una valanga di voti, persino meglio del 96,9% del 2014. Ma quello di Al Sisi è un trono al tempo stesso solido e fragile, perché è basato sulla  repressione e la negazione dei diriti umani e soprattutto perchè è sempre più legato al sostegno delle Forze Armate, che come accadde con Mubarak o Morsi, può sempre toglierlo. 

Come tradizione in Egitto,  l’affluenza è bassa: solo  45%. Un paio di punti i meno del risultato del 2014 quando vinse Al Sisi e quasi sei in meno del 51.85% con il quale vinse il candidato dei Fratelli Musulmani, Morsi.  Il presidente  non ha quindi una grande base elettorale. Ha il sostegno di  una minoranza di elettori: il suo potere si basa sulla repressione e sulle armi, non sul popolo.  Che come sberleffo massimo si è permesso di annullare oltre un milione di schede votando per l'idolo degli stadi Mohamed Salah, che ha preso il doppio dei preferenze del solo sfidante ufficiale, il candidato "giallo" Moussa Moustafà Moussa, che di voti ne ha presi 656 mila.

"Il modo in cui Sisi ha gestito le elezioni, inasprendo la repressione e soffocando in modo violento e spietato i candidati legati al potere militare come Shafiq e Ananhanno scritto Andrew Miller e Amy Howthorne su Foreign Affairs –  dimostra che il suo mantenimento al potere dipende in gran parte dalla lealtà dei militari, o almeno dalla loro acquiescenza. Il fatto che gli sfidanti siano emersi anche dall’establishment militare in primo luogo suggerisce che tale sostegno è diminuito, una tendenza che ha sconvolto Sisi".

"Le forze armate – prosegue Foreign Affairs – rimangono l’istituzione più potente dell’Egitto, e Sisi è diventato presidente nel 2014 con il loro forte sostegno. Ma egli deve essere ben consapevole che i militari potrebbero rivolgersi contro di lui. Dopo tutto, i militari hanno rimosso gli immediati predecessori di Sisi, Morsi e Hosni Mubarak, una volta che si è trattato di vederli come una responsabilità per i propri interessi". "In qualche modo – concludono –  Sisi potrebbe essere ancora più dipendente dalle forze armate di quanto non fosse Mubarak, perchè Sisi è salito al potere con un colpo di Stato militare e non ha costruito basi alternative di sostegno al di fuori dell’istituzione. La sopravvivenza politica di Sisi dipenderà in primo luogo dalla sua capacità di mantenere i costi percepiti per la sua rimozione superiori a quelli della sua permanenza al potere"

La sopravvivenza poltica di Sisi dipende da due sfide: l’economia e la sicurezza. Sisi lo sa bene e  per questo ha attuato una serie di difficili riforme economiche, tra cui il taglio delle sovvenzioni e la svalutazione della sterlina egiziana, per migliorare la vulnerabile posizione macroeconomica dell’Egitto. Queste misure hanno avuto l’effetto immediato di danneggiare le condizioni di vita della popolazione egiziana, più ovviamente sotto forma di inflazione in fuga che ha superato lo scorso anno al 34,2 per cento, è da vedere se porteranno benefici a medio termine. Nei due lustri passati i benefici di una maggiore attività economica non sono stati condivisi, come dimostrano i tassi di disoccupazione  elevati, l’aumento della povertà e l’aumento delle disuguaglianze in termini di ricchezza, e questo crea il malconbtento che portò alla rivolta del 2011. Le recenti scoperte energetiche condotte da Eni nelle acque egiziane potrebbero modificare in parte questo scenario, ma non sono da sole garanzia di successo della scommessa ecomica di Sisi.

 E poi per il Faraone c’è  la questione della lotta al terrorismo. "Garantire la sicurezza – scrive Foreign Affairs – è fondamentale per l’immagine dell’esercito come difensore della nazione egiziana, e un  mancato adempimento di questo dovere potrebbe provocare l’alienazione del popolo dal  regime o anche seminare dubbi nei militari circa la capacità di Sisi di far fronte alle principali minacce del paese, come la violenza da parte di gruppi jihadisti. Sebbene un significativo peggioramento dell’ambiente di sicurezza sia meno probabile che provochi manifestazioni popolari rispetto a un continuo peggioramento delle condizioni di vita, se la leadership militare ritiene Sisi responsabile di tale peggioramento, potrebbe sentirsi costretta ad agire. Uno scenario in cui i gruppi jihadisti compiano importanti incursioni nei centri abitati della Valle del Nilo, con la conseguente perdita da parte dello Stato del controllo effettivo sul territorio o il crollo dell’ordine pubblico, rappresenterebbe una seria sfida per la posizione di Sisi, pubblicamente e all’interno del regime".

A tutto questo si aggiunge anche la minaccia costituita dalla nuova Grande Diga del Rinascimento Etiope (GERD). "Sembra probabile – scrive Foreign Affairs – che l’Etiopia inizi a riempire la diga già quest’estate, un processo che potrebbe ridurre il flusso di acqua nel Nilo e provocare una riduzione del 25 per cento della già scarsa disponibilità di acqua da parte dell’Egitto. Ciò potrebbe avere enormi implicazioni per le condizioni di vita di milioni di egiziani, che hanno già una delle quote di acqua pro capite più basse al mondo, e per l’economia egiziana. A causa dell’apparente riluttanza dell’Etiopia ad affrontare le legittime preoccupazioni dell’Egitto, Sisi dispone di poche opzioni per attenuare la minaccia rappresentata dalla GERD. Egli potrebbe avviare un’azione militare segreta o palese contro la diga. Ma, a causa della limitata capacità di spedizione dei militari egiziani, le prospettive di usare la forza per fermare o addirittura ritardare il riempimento della diga sono scarse, e un attacco militare di alto profilo e fallito contro l’Etiopia minerebbe le credenziali di sicurezza di Sisi e danneggerebbe il prestigio dei militari".

Il Faraone ha vinto, ma il futuro resta da scrivere e sarà influenzato da molti fattori, non ultimo il sostegno economico dell’alleato Arabia Saudita (pagato anche con la cessione di due isole del Mar Rosso) e dell’America, che, dimenticate le critiche di Obama, è toirnata a fianco dell’alleato egiziano, a prescindere di quanto illiberale ne sia la guida, e del crescende appoggio russo, carta abilmente giocata da Sisi per riconquistare Washington. Quanto all’Europa, crescono l’influenza francese e britannica e cala quella italiana. E’ meritorio che nel suo messaggio di felicitazioni a Sisi il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella abbia ricordato di aver accolto con favore "le dichiarazioni da lei fatte in più occasioni circa l’impegno suo personale e delle istituzioni egiziane a pervenire a risultati definitivi sulla barbara uccisione di Giulio Regeni. Sono certo che il raggiungimento della verità, attraverso una sempre più efficace cooperazione tra gli organi investigativi, contribuirà a rilanciare e rafforzare il rapporto storico di assoluto rilievo tra i nostri paesi». Un passo opportuno, ma  è più che probabile che da Sisi venga poco o nulla sul fronte della verità sul casi Regeni: una collaborazione formale, non sostanziale, che porterà al massimo a far cadere qualche testa (e anche questo, non è detto) e negherà ancora una piena verità per una ragione molto semplice. Viste le più che probabili collusioni ad altissimo livello nell’apparato di sicurezza per la tragica fine di Giulio Regeni, Sisi non se lo può permettere.