Torna a candidarsi alla presidenza dell’Iran un ultraconservatore populista e laico. Riappare Mahmud Ahmadinejad (foto), 67 anni, presidente del Parlamento dal 2005 al 2013. Nel 2009 fu rieletto nonostante un sospetto di brogli che provocò grandi manifestazioni di protesta represse nel sangue. Il regime teocratico ammise quaranta morti. Secondo Amnesty International furono il doppio. Cinquemila persone vennero arrestate.
Ahmadinejad è figlio di un fabbro di Aradan, un paese di cinquemila anime. Nel 1979 fu uno degli ispiratori dell’assedio all’ambasciata americana a Teheran. Nel 2005 presentò come "uno spazzino della Nazione" che avrebbe rimesso ordine nel tempio invaso dai mercanti. I programmi atomici del suo Paese erano "un diritto inalienabile dell’Iran" che "il mondo dovrebbe riconoscere". Nega la Shoah e teorizza: "Questo regime che occupa Gerusalemme sparirà dalla pagina del tempo".
Nel 2010, dopo una visita al santuario di Qom, ha tentato di licenziare il ministro degli Esteri Manuchehr Mottaki e il responsabile del dicastero dell’intelligence Heidar Moslehi, due uomini della Guida Suprema. Otto anni dopo Ali Khamenei è arrivato a rimproverargli di "comportarsi come fanno i nemici del Paese". L’11 giugno su Ahmadinejad, già bocciato come aspirante alla presidenza del Parlamento nel 2017 e nel 2021, deciderà il Consiglio dei guardiani della Costituzione.
Lorenzo Bianchi