Tel Aviv, 7 ottobre 2024 – “Per noi – affermano molti israeliani – il tempo si è fermato il sabato 7 ottobre”: il giorno in cui in seguito al massiccio attacco lanciato da migliaia di miliziani di Hamas la storia del Paese è bruscamente deragliata ed è uscita dai binari, messi pazientemente a punto per decenni dai Padri fondatori.
Assieme con essi è stato rimesso in discussione il mito dell’esercito, punta di diamante del meglio delle nuove generazioni sia per capacità tecniche sia per dedizione al Paese. E il mito dell’insediamento agricolo collettivista, di comunità impegnate a zappare la terra fino agli estremi lembi del Paese: “Il luogo dove l’aratro ebraico scava l’ultimo solco di terra, là passerà il nostro confine”, predicava un secolo fa Yosef Trumpeldor, uno degli eroi del sionismo. E poi anche il mito della coesione e della solidarietà nazionale di fronte alla cattura di ostaggi.
Questi e molti altri punti fermi dello Stato d’Israele (ad esempio, la propria autoproclamata definizione di ‘Start-Up Nation’, nel frattempo sbiaditasi) hanno barcollato sensibilmente quando alle 6.30 del mattino del 7 ottobre da Gaza è partita una pioggia di migliaia di razzi. Il leader di Hamas Yiahia Sinwar la avrebbe poi chiamata ‘Alluvione al-Aqsa’ in omaggio alla celebre moschea di Gerusalemme eretta nella Spianata che per gli ebrei è il Monte del Tempio dove 2000 anni fa sorgeva il Tempio di Salomone. Il luogo più sacro per ogni ebreo.
Ma dopo la sfuriata iniziale dal Negev sarebbero giunti aggiornamenti ben più allarmanti. Le emittenti – come nella celebre trasmissione radio con cui Orson Welles descriveva lo sbarco di alieni sulla Terra – riferivano con tono incredulo: “In alcuni kibbutzim ci sono terroristi! Civili israeliani sono trascinati a Gaza! I miliziani di Hamas imperversano a Netivot”, a 25 chilometri da Gaza. E dove era l’esercito ? Perché l’aviazione non interveniva? Su questi punti le emittenti restavano nel vago. Sul web circolava l’immagine di un deltaplano: a bordo c’era un uomo di Hamas in procinto di atterrare indisturbato in un kibbutz, quasi fosse in gita. Gli israeliani erano stupefatti: “Ma come? – si sono detti – Abbiamo speso miliardi per bloccare a 20 metri di profondità i tunnel militari di Hamas costruendo un muro di cemento dotato di sensori ultrasensibili e loro hanno superato il confine con la massima facilità ?”.
Ma l’orrore vero sarebbe cresciuto nelle ore successive. Alla fine della giornata i morti accertati in Israele erano 150, il giorno seguente si sarebbero aggiunti i 250 giovani massacrati e poi bruciati al festival musicale Nova. Solo dopo quattro giorni traumatici si sarebbe arrivati a una cifra più vicina alla realtà: 1.200 morti, 250 ostaggi. La peggiore strage di ebrei dalla fine della seconda guerra mondiale. ù
E qui si è allora incrinato un altro mito fondamentale del Paese: ossia la fiducia indiscussa che mentre nella Diaspora la vita degli ebrei era costantemente in pericolo, con la fondazione di Israele la Storia aveva finalmente “voltato pagina, una volta per sempre”. Tre gli obiettivi della guerra fissati da Netanyahu dopo le stragi: la distruzione di Hamas; la smilitarizzazione della Striscia; e la liberazione dei 101 ostaggi rimasti (di cui solo la metà probabilmente in vita). Israele afferma che, sul piano militare, il primo obiettivo è stato sostanzialmente raggiunto. Per gli altri due è in alto mare.
A differenza dei leader politici che tuttora esitano, i vertici militari si sono subito assunti la piena responsabilità del colossale fallimento del 7 ottobre e si sono detti pronti a farsi da parte con la fine dei combattimenti e con l’istituzione di una Commissione ufficiale di inchiesta imparziale guidata da un giudice. Su tutto prevale un senso terribile di frustrazione: da almeno un anno i piani di attacco simultaneo di Hamas contro decine di kibbutzim erano noti all’intelligence fin nei dettagli. Ma la sensazione era che si trattasse di un espediente di fantasia, non di un progetto concreto. In quel weekend di ottobre prevalse un senso di rilassamento legato anche alla ricorrenza religiosa del Succot, la festa dei Tabernacoli. Netanyahu era da poco tornato da una vacanza sul Golan. Responsabili della sicurezza erano in gita.
In queste circostanze non stupisce che, oltre ai traumi riportati in guerra finora da oltre 3.000 soldati e a quelli con cui si cimentano i parenti degli ostaggi, si sia creato anche a livello nazionale un senso di ansia. Negli ultimi 12 mesi le vendite di calmanti in tutto Israele sono in netto aumento fino a raggiungere, per alcuni farmaci, il 200%. Su chi sente tradito o forse deluso dalla leadership, avvertono gli psicologi, non ha alcun effetto tranquillizzante lo slogan di Netanyahu: “Uniti fino alla vittoria totale”.