Domenica 22 Dicembre 2024
ALESSANDRO FARRUGGIA
Esteri

"Guerra mondiale a pezzi". Dall’Ucraina al Medio Oriente, l’instabilità si è ripresa la scena

Il Papa ha coniato l’espressione dei conflitti tornati a livello globale. Putin non vuole fermarsi e spera in Trump. Regimi illiberali di varia ideologia, teocrazie e oligarchi governano la maggior parte del mondo

Roma, 30 dicembre 2023 –  Altro che “fine della Storia“, come improvvidamente scrisse il politologo americano Francis Fukuyama nel 1992, celebrando il trionfo della democrazia liberale dopo la caduta del Muro. Magari. Regimi illiberali di varia ideologia, teocrazie e oligarchi governano oggi la maggior parte del mondo generando un’instabilità che ha prodotto una serie di guerre regionali, alcune delle quali – l’invasione russa dell’Ucraina iniziata nel febbraio del 2022 e la nuovissima guerra tra Israele e Hamas – hanno valenza globale. Parafrasando la fortunata definizione coniata nel 2014 da Papa Francesco, anche il 2023 è stato un anno segnato da una sorta di "guerra mondiale a pezzi". Una guerra che oggi, dice il Papa, "è totale" e, con un Putin sempre più privo di freni e staccato dalla realtà, torna a far balenare la follia (a oggi molto improbabile ma non più impossibile) di un conflitto nucleare, oltretutto sul territorio europeo.

Vladimir Putin
Vladimir Putin

Il punto di crisi principale resta l’Ucraina. Dopo 676 giorni di guerra, la Russia controlla il 18% del territorio ucraino dopo esserne arrivato a controllarne 161 mila chilometri quadrati, quasi il 27% nel marzo dello scorso anno. Kiev ha ripreso 74 mila chilometri quadrati, quasi tutti nel 2022 e la tanto attesa offensiva del 2023 si è rivelata un sostanziale flop consentendo guadagni marginali e strategicamente irrilevanti. Il conflitto è quindi finito in un cul de sac con nessuna delle due parti che ha la forza militare per sfondare e vincere.

Pur non essendo riuscito a centrare il suo obiettivo principale, il cambio di regime a Kiev e la “finlandizzazione“ dell’Ucraina, e avendo incassato un forte ridimensionamento delle capacità militari della Russia, Putin tuttora controlla una parte importante di territorio ucraino e la sua strategia – possibile in quanto dittatore – è semplice: continuare la guerra, seppure con perdite umane e materiali superiori del 50% a quelle ucraine, fino alle elezioni Usa di novembre, sperando in una vittoria di Trump e in un progressivo sganciamento dall’Occidente da Kiev, eventualità che gli consentirebbe di piegare l’Ucraina. Putin, come ha detto a Xi, è pronto a una guerra di cinque anni, quale che sia il costo. Se Trump non dovesse essere eletto, allora Putin, nel 2025, proporrà un cessate il fuoco che gli conservi i territori che controlla. Come si vede, sono prospettive fosche per chi giustamente, come il presidente Sergio Mattarella, chiede una "pace giusta" che non annulli le differenze tra chi ha ragione e chi ha torto.

In questo contesto di rapporti internazionali, con una Cina che gioca una partita tutta sua usando Mosca contro l’Occidente con la prospettiva di medio periodo di diventare la potenza economica e anche politicamente e militarmente dominante, si è inserita la crisi di Gaza. Innescata da un attacco terroristico proditorio voluto da Hamas per provocare la reazione di Tel Aviv e seppellire la normalizzazione tra Israele e alcuni Paesi arabi, ha innescato una reazione durissima di Netanyahu che si è posto l’obiettivo di liquidare sic et simpliciter Hamas cacciandolo da Gaza. Da notare che il governo di destra al potere in Israele ha sinora usato Hamas in funzione anti Anp e non vuole una soluzione a due Stati non meno che Hamas, e infatti ha continuato a costruire colonie in Cisgiordania.

Anche qui, come in Ucraina, le prospettive non sono buone. Israele entro due-quattro mesi dovrebbe riuscire a controllare militarmente Gaza, ma a prezzo di fare terra bruciata di tutte le prospettive di una soluzione politica che non sia la creazione di un “protettorato“ nella Striscia. Con buona pace chi di chi spera nella logica soluzione a due Stati, che però richiederebbe sacrifici che nessuna oggi è disposto a fare, sulle due sponde.

La infinita guerra in Libia, la riconquista dell’Artzakh da parte dell’Azerbagian, il conflitto in Sudan e quello in Mali, la guerra civile in Birmania e quella semicongelata in Yemen, la teocrazia iraniana che semina instabilità e continua a lavorare per dotarsi della Bomba e la minaccia di medio periodo di un conflitto per Taiwan sono parte di uno scenario globale che consegna un quadro di instabilità immanente che minaccia le democrazie, lo sviluppo e i diritti, complicando ulteriormente le prospettive di soluzione della crisi climatica in atto. Altro che fine della Storia.