Giovedì 21 Novembre 2024
ANTONELLA COPPARI
Elezioni

Presidenzialismo, perché si perché no

I fautori dell'elezione diretta sottolineano l'esigenza della stabilità e del rispetto della volontà popolare, i detrattori paventano il rischio dell'uomo forte. Chi ha ragione? Ecco un breve riepilogo delle ragioni degli uni e degli altri

Il palazzo del Quirinale (ANSA)

Il palazzo del Quirinale (ANSA)

Una cosa andrebbe chiarita subito: l’elezione diretta del presidente non è la versione 2.0 delle leggi fascistissime del 1925-26. È una forma di democrazia pienamente legittima, in vigore in alcuni paesi il cui tasso di democraticità non può essere messo in dubbio come gli Stati Uniti  o la Francia. Sarebbe quindi ottima regola circoscrivere il dibattito alla sua realtà: pregi e difetti di un modello istituzionale del tutto lecito, senza agitare lo spettro di sterzate autoritarie. Gli argomenti sia a favore sia contro sono stati molto dibattuti in Italia nell’unico momento in cui una riforma della seconda parte della Costituzione è sembrata davvero a portata di mano: la commissione Bicamerale presieduta da D’Alema tra il 1997 e il 1998. È probabile però che nei prossimi mesi torneranno in primo, anzi, in primissimo piano. Il principale argomento a sostegno del presidenzialismo (anche nella versione più morbida del semipresidenzialismo) è che permette agli elettori di scegliere davvero chi li governerà. Così però, ribattono i critici, non solo si smantella l’intero sistema fondato sulla centralità del parlamento, ma si rischia di sostituirlo con una sorta di 'democrazia plebiscitaria’ in cui il presidente trova la sua legittimazione direttamente nella base popolare, con tutti i rischi di peronismo che ciò implica. Entrambe le tesi possono squadernare buone ragioni, il problema è che in Italia abbiamo vissuto a lungo, e in buona parte ancora viviamo, su una sorta di finzione. Con il bipolarismo venivano indicati come candidati-premier i capi della coalizione. A tutt’oggi i nomi dei leader figurano su molte liste di partito, gli elettori avevano pertanto ottime ragioni per credere di decidere chi avrebbe governato, salvo poi restare non solo delusi ma anche sempre più sfiduciati nello scoprire che così non era né poteva essere, visto che in Italia non è prevista l’elezione diretta. Secondo argomento forte dei presidenzialisti è che l’elezione diretta sarebbe una pietra tombale per giochi di palazzo, alleanze tanto improvvise quanto impreviste, spazi liberi per manovrieri abili. Così però, rilancia il fronte contrario, si priverebbero le Camere di una delle prerogative fondamentali. Anche in quel caso gli uni e gli altri possono addurre valide motivazioni, ma certo la tendenza ad abusare delle possibilità offerte dal sistema attualmente in vigore è innegabile. Del resto, ha raggiunto il suo picco e forse anche superato il punto di non ritorno proprio nell’ultima legislatura. L’autonomia dei parlamentari non può infatti significare prestarsi ad alleanze di ogni tipo a seconda delle circostanze e delle convenienze, ignorando completamente gli impegni assunti con gli elettori al momento del voto. Terzo argomento fondamentale dei fan del sistema è che, proprio in virtù della legittimazione popolare e dell’impossibilità di essere abbattuto senza dover ricorrere a nuove elezioni, il presidente eletto avrebbe margini di azione molto più ampi e rapidi di quanti non ne abbia oggi il premier. Insomma, efficacia e efficienza ne uscirebbero ampiamente premiate. Di qui all’uomo solo al comando non c’è che un passo e forse neanche quello, rispondono dalla sponda opposta i detrattori. Sempre senza bisogno di prendere posizione, è certamente un fatto che i condizionamenti che gravano oggi sul capo del governo lo costringono spesso a muoversi con estrema prudenza e lentezza oppure ad aggirarli d’autorità, come nel caso dei governi tecnici di Monti e Draghi, ma anche in buona misura – complice la pandemia – il Conte bis. Di questi punti nodali, per non parlare di tutti quelli secondari che ne derivano, dovrà discutere la politica se vorrà provare a superare con una riforma istituzionale la crisi di sistema che oramai è esplosa. Ma forse invece di scannarsi a colpi di propaganda o anche di misurarsi solo sui principi fondamentali, sarebbe opportuno allargare il campo a una visione più complessiva: che si passi al presidenzialismo o che si scelga di restare in una democrazia parlamentare, è necessario mettere il sistema in grado di funzionare intervenendo non solo sugli aspetti vistosi come appunto l’elezione diretta o meno del presidente, ma anche – forse soprattutto - sul sistema di pesi e contrappesi che costituisce in realtà l’essenza della democrazia. Insomma, per controbilanciare i rischi del presidenzialismo ci sarebbe bisogno di definire con precisione il ruolo del parlamento e poi rispettarlo rigorosamente, come succede negli Usa.